Hölbl, Günther : Aegyptiaca nella Sicilia greca di VIII-VI sec. a.C., (Monumenti Antichi, 81), XLVIII-186 pp., 40 Tavole f.t. (7 a colori), Brossura, 24 x 34 cm, ISBN: 9788876893353, 145,00 €
(Giorgio Bretschneider, Roma 2022)
 
Reseña de Tiziano Ottobrini, Università degli studi di Bergamo
 
Número de palabras : 1564 palabras
Publicado en línea el 2023-04-12
Citación: Reseñas HISTARA. Enlace: http://histara.sorbonne.fr/cr.php?cr=4632
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Il presente lavoro interviene a colmare un uacuum che da lungo tempo si avvertiva nella letteratura scientifica di argomento e, insieme, realizza un desideratum lungamente concepito: disporre in una tassonomia ragionata i reperti in vario grado egittizzanti, ove non de plano egizî, dalla Sicilia greca tra VIII e VI secolo a.C. Se, infatti, le cose egizie hanno da epoca risalente esercitato una fascinazione ora magica e ora estetica indefettibile su tutta l’area mediterranea, determinando una capillare diffusione segnatamente di scarabei e non solo, non si disponeva di un quadro sinottico e di uno strumento repertoriale capace di fornire per la Sicilia dei secoli detti un panorama analitico quale invece fruibile per altri quadranti geografici.

 

Dopo il prospetto bibliografico (pp. [XVII]-XLVIII), il saggio introduttivo, recante il titolo Gli Ægyptiaca in Italia meridionale e in Sicilia fino alla fine dell’età arcaica, presenta una struttura tripartita, aprendosi con una prospettazione complessiva dei lavori egittologici sugli Aegyptiaca in determinate aree geografiche (Gli studi sugli Ægyptiaca nel mondo mediterraneo: pp. [3]-4); a partire dalle indagini pionieristiche di J. Vercoutter sui reperti di Cartagine nel 1945, si passa negli anni Sessanta con I. Gamer-Wallert e J. Padró I Parcerisa all’ispezione dei reperti di tipo egizio provenienti dalla penisola iberica, così da pervenire all’esame della tematica corrispondente in area egea grazie a W. Helck (1979), oltre alle pagine consacrate dallo stesso Hölbl alle testimonianze della cultura egizia nell’Italia arcaica, in Sardegna e nelle isole maltesi (anni Ottanta).

 

Né mancano di attenzione i beni culturali egizî nell’Italia meridionale e nel mondo mediterraneo lato sensu, grazie in ispecie alle cure di F. De Salvia (nell’ampio torno di anni tra il 1975 e il 2015). In ultimo, mette conto di ricordare che nel 1994 ha visto la luce la ragguardevole opera egittologica di N.J. Skon-Jedele sui materiali di tipo egizio dell’Età del Ferro di provenienza egea. Entro queste coordinate, quindi, il presente volume amplia e arricchisce il quadro di cognizioni sulla diffusione di oggetti egizî o egittizzanti, inserendosi nell’alveo percorso da O. Keel che, fin dal 1995, ha intrapreso l’edizione degli scarabei rinvenuti in Palestina/Israele redigendone un corpus, in cinque poderosi volumi più un sesto dedicato alla sua collezione privata e un altro (con J. Eggler) relativo alla Giordania, mentre Chr. Herrmann ha parimenti presentato quattro volumi complessivi per gli amuleti dalla Palestina/Israele. Ciò dimostra un interesse costante e progressivamente incrementato sul tema in oggetto (si attendono lavori di repertoriazione analoga, ad esempio, per i reperti egittizzanti di provenienza egeo-anatolica), arando un campo in via preliminare battuto da S. Curto (2006), dopo gli auspici di S. Verga (1990) in merito agli Ægyptiaca di Sicilia. La pietra di paragone più rilevante è costituita dal compendio di materiali assemblato da G. Sfameni Gasparro, intitolato I culti orientali in Sicilia (1973). Nel suo spirito abbiamo tra le mani uno studio che bene interpreta e porta a perfezione le ricerche archeologiche pertinenti alla cultura egizia nelle tombe e nei santuarî della Sicilia arcaica coltivate da S. Cavallari, senza dimenticare soprattutto i rapporti di scavo di P. Orsi.

 

La seconda parte del saggio introduttivo (pp. [5]-10) si concentra sulla Diffusione dei valori culturali egizî in Italia meridionale durante i primi secoli del I millennio a.C. Si tratta di una sintesi importante relativa al processo storico che intervenne nel Mediterraneo orientale alla conclusione dell’Età del Bronzo (intorno al 1200 a.C.), allorché venne meno la koinè culturale, economica e politica dell’area. A séguito, infatti, degli sconvolgimenti portati dalle incursioni dei cosiddetti “Popoli del Mare” (come riferiti dalle fonti egizie rimontanti ai regni di Merenptah e di Ramesse III, sullo scorcio finale del XIII e prima metà del XII secolo a.C.), i contatti culturali tra l’Egitto e il mondo egeo restarono fondamentalmente intercisi durante l’XI secolo a.C.; risulta che solo con i secoli X e IX a.C. torneranno ad apparire in modo graduale i beni culturali egizî a Creta, in Eubea e a Cipro, grazie alla mediazione dei Fenici e di altri Levantini. Entro tale quadro risultano documentabili Ægyptiaca nell’Italia Meridionale, considerando che presso l’insediamento protostorico di Torre Galli (ubicato nel comune di Tropea, in provincia di Vibo Valentia) sono stati rinvenuti monumenti della civiltà egizia risalenti alla fine del X o all’inizio del IX secolo a.C. Si tratta di una classe di scarabei attestati in prevalenza nel Delta egiziano orientale, intagliati in steatite.

 

Con la fine del IX secolo a.C. le importazioni di cose egizie si intensificano anche in Italia e, nel corso dell’VIII secolo, in Etruria nonché in Campania diventa comune la presenza di scarabei asiatici in blu egizio. Pezzi di questo genere si trovano nelle tombe di Tarquinia, Cerveteri e Veio, così come a Capua, restituendo attestazione di relazioni con il mondo nord-siriano e cipriota. A questa tipologia (parimenti documentabile nella Calabria meridionale, come nella necropoli di Canale, presso Locri) si affiancano attorno alla metà dell’VIII secolo gli scarabei egizî dell’epoca libica; si segnala il caso dell’insediamento euboico di Pithekoussai: la maggior parte dei circa 100 scarabei rinvenutivi appartiene al periodo libico dell’Egitto. Rileva osservare che non è a oggi noto il percorso che seguirono gli scarabei dell’epoca libica ma, verisimilmente, vennero trasmessi ai Greci dai Fenici e forse anche da altri asiatici come i Ciprioti, mediante Creta o comunque il Vicino Oriente.

 

Si segnala, peraltro, che questa facies culturale egizia della seconda metà dell’VIII secolo a.C. in Campania (diversamente dalla Sicilia) non si limita agli scarabei ma comprende anche, seppure in misura ridotta, amuleti di varie divinità egizie (Sekhmet, Nefertum, Bes etc.); scendendo verso il VII e VI secolo a.C., oltre a scarabei e scaraboidi con funzione di sigillo o amuleto, andranno affermandosi anche statuette egittizzanti insieme con vasetti in faïence.

 

Tra i documenti repertoriati non mancano sorprese e squisitezze, come la scoperta nel materiale votivo del tempio di Persefone a Locri di una maniglia d’avorio appartenente a un cucchiaio, con la foggia di una giovane donna intenta a nuotare (oggi presso il Museo di Reggio Calabra, in. 7290; cfr. su questo p. 9 e ibid., n. 61); i cucchiai del tipo “nuotatrice” erano tra i più comuni in Egitto durante il Nuovo Regno e il Periodo Tardo (per quanto non sia da escluderne una provenienza fenicia). Andrà altresì segnalato il caso della produzione greca in faïence, che presenta molti aspetti influenzati dai modi artistici d’Egitto: all’industria egea appartiene il tipo del vasetto figurato che effigia un personaggio inginocchiato con una sorta di dolio tra le mani e i femori (attestazioni da Taranto e dalla Sicilia; dalla metà alla fine dell’VII secolo a.C.). Finalmente, col VI secolo a.C. arrivarono in Italia meridionale dall’Egitto balsamarî in forma di riccio (Cuma, Francavilla Marittima) nonché alcuni aryballoi globulari (Taranto, Cuma, Francavilla Marittima). Ancora dopo la metà dello stesso VI secolo sono documentabili cospicui depositi di scarabei a Taranto, produzione dell’officina di Naucrati.

 

Le pp. [11]-24 contengono la terza e ultima sezione del saggio prefatorio: Gli Ægyptiaca della Sicilia greca in età arcaica: distribuzione e gruppi di rinvenimenti. In questa sede vengono illustrati i principali luoghi di ritrovamento, secondo il criterio della relazione intercorrente tra il sito di rinvenimento e il materiale egizio lì attestato, come emerge dalla concentrazione di cose egizie e dalla stipe votiva presso l’altare arcaico del tempio di Atena in Ortigia, per l’area di Siracusa a partire dall’ultimo quarto dell’VIII secolo a.C. Potrà poi essere apprezzato che la testimonianza più rilevante della cultura egizia nella Sicilia arcaica consiste dei tre frammenti di un vaso in granodiorite di Assuan di forma quasi sferica, lacerti recanti una rappresentazione con iscrizione di Ramesse II intento a sacrificare alla dea Hathor. Gran copia delle vestigia a vario titolo egittizzanti è data certamente dai vasetti in faïence, così come – trascorrendo alle tipologie iconiche – si registra che, tra le figurine e le placchette magiche, non mancano i lineamenti curiosi dei cosiddetti “demoni panciuti”, quali Bes e Ptah, trattandosi di nani fanciulli che tengono attaccate le mani al bassoventre. Le ultime pagine sono dedicate alla tassonomia di scarabei e scaraboidi.

 

Il corpus (pp. [27]-149) dell’opera è costituito dalle schede catalografiche dei materiali che sono oggetto di repertoriazione e descrizione. Per ogni reperto le schede, numerate progressivamente, constano di titoletto, indicazione della tavola, luogo (città e museo) di conservazione, numero di inventario, misura prevalentemente in mm., materiale, tipologia e/o descrizione, la base (per gli scarabei), provenienza, origine, datazione e bibliografia; in ultimo viene offerto il commento relativo al pezzo in esame, con l’importante tentativo di collocare l’oggetto in esame nel quadro dei reperti correlati rinvenuti nel bacino del Mediterraneo.   

 

Circa gli elementi paratestuali, anzitutto si dànno due appendici, l’una (pp. [153]-159) relativa alle tabelle di sintesi dei materiali registrati nel catalogo; l’altra (pp. [161]-167) consistente nel repertorio e nella descrizione degli ushabti da Lipari e in una nota sulla statua di Petamenophis da Siracusa.

 

Corredano il volume utilissimi indici, stante la natura dello studio: dei musei citati (pp. [171]-172), dei nomi geografici ed etnici (pp. [173]-176), delle iscrizioni geroglifiche e dei segni in trascrizione (pp. [177]-178), delle materie e dei nomi di persona o divinità (pp. [179]-184), oltre al prospetto delle referenze fotografiche (pp. [185]-186); chiude la pubblicazione un apparato di 40 tavole (le prime 7 a colori).

 

La fecondità di un’opera quale la presente si può valutare nella sua pienezza solo nella consultazione, destinata a durare nel tempo come un tassello circoscritto e, proprio per questo, specifico nel quadro grande e magmatico dell’influenza duratura e varia della cultura d’Egitto nell’area mediterranea, sotto il particolare rispetto dell’àmbito della Sicilia greca fino allo spegnersi dell’età arcaica.