Caraffa, Costanza: Gaetano Chiaveri (1689-1770), architetto romano della Hofkirche di Dresda (Studi della Bibliotheca Hertziana, 1), 331 S.: zahlr. Ill., graph. Darst.; 31 cm, ISBN 88-366-0673-3, EUR 70,00.
(Silvana Editoriale, Milano 2006)
 
Compte rendu par Maria Grazia D’Amelio, Università di Roma Tor Vergata
 
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Publié en ligne le 2010-02-26
Citation: Histara les comptes rendus (ISSN 2100-0700).
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          Nel 1738 il principe elettore di Sassonia e re di Polonia Augusto III e sua moglie l’arciduchessa d’Austria Maria Josepha, entrambi cattolicissimi, promuovono a Dresda la costruzione della Hofkirche, completata nel 1756. Si tratta di una capiente chiesa cattolica per la capitale della Sassonia, dove, peraltro, era ancora operativo il cantiere della Frauenkirche progettata dall’architetto George Bähr nel 1726, forse la più sontuosa delle cattedrali luterane, commissionata da Augusto II (padre di Augusto III) convertitosi al cattolicesimo fin dal 1697.

 

          A tre navate, deambulatorio con quattro cappelle con funzione processionale che rilega abside e ingresso, la Hofkirche copre una superficie di 4800 m2 e la sua tipologia non è riconducibile a quella basilicale convenzionale. Si tratta di un impianto imponente (tale da eclissare il maestoso castello sullo sfondo), il cui fronte, coronato da 78 statue di santi, è dominato sull’asse centrale da una svettante torre, che è anche potente segnale a scala urbana. Il progetto della chiesa è commissionato all’architetto italiano Gaetano Chiaveri (Roma 1689-Foligno 1770) che, seguendo i flussi della migrazione artistica in Europa, contribuisce all’esportazione del linguaggio architettonico romano sei-settecentesco. In effetti, per l’occasione Chiaveri materializza quel mondo di forme utopiche protagoniste dei concorsi dell’Accademia di San Luca, presso la quale egli si era formato.

 

          Costanza Caraffa, ricostruisce la vicenda della costruzione della Hofkirche, sulla base di un esaustivo apparato iconografico e documentario; la sua monografia è strutturata metodologicamente in modo da dimostrare l’importanza della Hofkirche dal punto di vista architettonico e artistico, ma soprattutto per sottolineare il valore di una scelta a carattere confessionale e politico in quella zona dell’Europa che, tradizionalmente, era il caposaldo dell’ortodossia protestante. La Hofkirche, i cui significati denotativi sono espliciti, è, in effetti, carica di valori connotativi primo tra tutti il ritorno della dinastia regnante dei Wettiner alla Chiesa di Roma, avvenuto dopo la conversione al cattolicesimo di Augusto II (per convenienza in modo da ottenere il regno di Polonia) e di Augusto III (per autentico sentimento devozionale).

 

          L’autrice riscrive la storia del monumento tedesco, in particolare affrontata da Eberhard Hempel nel 1955 e, per la statuaria, da Konstanze Rudert nel 1994, iniziando la trattazione dalla formazione accademica di Chiaveri e dalla sua successiva attività progettuale, ripercorrendo l’itinerario dell’architetto che da Roma si sposta dapprima a San Pietroburgo, a Varsavia, a Dresda e infine a Foligno, dove lavora alle seconda edizione di un testo sulle lesioni della cupola di San Pietro, con audaci proposte di ricostruzione (Pesaro 1767).

 

          La particolare situazione confessionale di Dresda, che impone alla Chiesa cattolica di mantenere un profilo basso per non essere percepita dalla maggioranza protestante come una minaccia, è lo scenario nel quale matura l’idea di costruire la Hofkirche; un contesto che Costanza Caraffa illustra nitidamente come anche la rete di contatti tra la capitale sassone e Roma e la profonda religiosità di Augusto III e Maria Josepha, che sotto l’influenza dei gesuiti – primo tra tutti padre Ignazio Guarino –, è tutta concentrata sugli studi agiografici, sulla raccolta e sul culto delle reliquie di santi. Da questi presupposti prendono le mosse la chiusura delle cappelle luterane all’interno delle residenze reali e la costruzione della Hofkirche che, nonostante le inevitabili tensioni confessionali, è concepita come il presidio fisico della riconversione della Sassonia al cattolicesimo. Convincentemente Costanza Caraffa identifica la Hofkirche come uno dei possibili mezzi della propaganda fide, anche se inizialmente la costruzione è tenuta nascosta – le fonti parlano di una fabbrica a carattere privato nella residenza reale di Dresda – fino al momento della scelta del sito di fronte al fiume Elba e al ponte di Augusto. Ubicazione strategica poiché la chiesa era il primo monumentale edificio che il visitatore traguardava provenendo da nord, vale a dire dalla Polonia, la sede cattolica del potere del re.

 

          Il volume ripercorre la genesi del progetto della Hofkirche, con soluzioni planimetriche che progressivamente accolgono numerose indicazioni funzionali, come quelle legate al cerimoniale che determina l’articolazione dello spazio su due livelli: l’inferiore destinato al pubblico (con navata centrale coperta con volta ungulata e avvolta dal deambulatorio) e quello superiore riservato alla corte e alla famiglia reale. In questa sequenza progettuale viene datato anche il magnifico modello di stagno dorato in scala 1:150, apribile e ispezionabile all’interno (fatte le dovute differenze di scala e di materiale, in modo simile a quello della basilica di San Pietro nella soluzione di Antonio da Sangallo il Giovane) che registra i cambiamenti successivi al 1740.

 

          Se funzionalmente il modello della Hofkirche è la cappella nella reggia di Versailles, le influenze architettoniche e iconografiche sono molteplici e prevalentemente di area romana: Caraffa individua possibili contaminazioni nel disegno di Filippo Juvarra per la sacrestia di San Pietro, nei progetti di spazi sacri dei concorsi Clementini (primo tra tutti San Giovanni in Laterano), nei disegni di Gian Lorenzo Bernini per campanile di San Pietro e per l’inesitata abside di Santa Maria Maggiore, nei profili murari sinuosi di Francesco Borromini.

 

          Alla moltitudine di statue di santi locali posti a coronamento della Hofkirche era affidato il compito di stabilire condizioni psico-fisiche idonee a suscitare la pietà popolare e a stimolare l’approfondimento spirituale (l’applicatio sensum di Sant’Ignazio da Loyola) per coinvolgere i fedeli nell’atto devozionale. Con questa popolazione di santi di pietra la Hofkirche, trasfigurata in un’autentica architettura parlante, riecheggia l’immagine  del colonnato di San Pietro e del suo “abbraccio della fede” e, quindi, il primato della Chiesa di Roma e del successore di Pietro sull’orbe cattolico.

 

          Un messaggio che parla in modo inequivocabile ai sensi, a tal punto che la Hofkirche è oggetto di un duro attacco da parte dell’anonimo autore di un opuscolo pubblicato nel 1741, in cui è stigmatizzata l’architettura della chiesa: palesemente estranea al linguaggio semplificato di Dresda all’inizio del Settecento, essa è il “prodotto di un architetto romano e troppo apertamente cattolica”. Ma, stando alla storiografia dell’inizio ‘900, sotto il profilo della fortuna critica si potrebbe aggiungere anche anacronistica, poiché essa è ritenuta l’ultima grande opera architettonica del barocco romano, sorta però su suolo tedesco.

 

          La vicenda della Hofkirche così abilmente ricostruita da Costanza Caraffa si dipana nel volume in tutta la sua reale portata religiosa, politica e formale; una vicenda la cui conoscenza è importante per gli studiosi dell’architettura barocca dell’Europa centrale.