Dimo, Vangjel - Lenhardt, Philippe - Quantin, François: Apollonia d’Illyrie, 1. Atlas archéologique et historique (Collection de l’École française de Rome 391), 362 p., ill. n/b et coul. , 3 dépl. 135 €
ISBN: 978-2-7283-0788-3 (Rome) - 978-2-86958-221-8 (Athènes)
(Ecoles françaises de Rome et d’Athènes, Athènes et Rome 2008)
 
Compte rendu par Federica Cordano, Università di Milano
 
Nombre de mots : 2588 mots
Publié en ligne le 2008-11-30
Citation: Histara les comptes rendus (ISSN 2100-0700).
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L’opera Apollonia d’Illyrie comprende un’ importante miscellanea che abbraccia tutti gli aspetti –noti grazie alla letteratura, all’epigrafia e agli scavi antichi e recenti– di Apollonia illirica, una città dell’attuale Albania, grande in età greca e soprattutto romana, fornita di un porto fluviale che la collegava con l’Adriatico. Il volume comprende due parti distinte: la prima offre una panoramica delle conoscenze documentarie e storiografiche su Apollonia; la seconda raccoglie singoli contributi su edifici e parti della città, le une e gli altri sono già stati oggetto di pubblicazioni o lo saranno, da qui l’interesse della bibliografia che si trova giustamente all’inizio del volume.
Jean-Luc Lamboley, attuale direttore degli scavi, premette che l’Atlante è stato l’obiettivo prioritario della collaborazione scientifica con l’Istituto archeologico di Tirana ed è il frutto della partecipazione di tutti i membri della missione franco-albanese fondata da Pierre Cabanes.
Allo stesso P. Cabanes si devono l’introduzione generale e la raccolta delle fonti greche, divise per categorie e tutte tradotte; come del resto quelle latine ad opera di G. Bonnet e M.C. Ferriès. Per le testimonianze epigrafiche Cabanes rinvia alla raccolta documentaria da lui stesso coordinata (1997) ricordando che ai 393 documenti pubblicati nel 1997 si aggiungono annualmente nuove acquisizioni, regolarmente segnalate nella sezione ‘Chronique’ del Bulletin de Correspondance Hellénique (BCH).

Un utile strumento è costituito dalla pianta che segnala i luoghi di rinvenimento delle epigrafi (fig.19). La maggior parte delle iscrizioni, come spesso accade, sono funerarie, perciò utili per la conoscenza dell’onomastica personale; ma ci sono anche stele di valore artistico, alcune testimoni di culti praticati dagli Apolloniati, in particolare per Apollo e Artemide, come si conviene ad una città coloniale.

Un primo capitolo a più firme è dedicato alla regione di Apollonia, con indagini geomorfologiche, climatiche e geografiche in genere, con i risultati di alcuni surveys, con una esemplare trattazione che tiene conto anche delle fonti, per non parlare della ricostruzione del porto antico; infatti, come dice É. Fouache, il sito è quello classico di una colonia greca, naturalmente rispetto al mare, in questo caso l’Adriatico.

Il secondo capitolo, firmato da V. Dimo, F. Quantin e B. Vrekaj, è la storia delle ricerche archeologiche ad Apollonia, che, dopo un breve cenno di Ciriaco di Ancona, prendono il via con il XIX secolo. In particolare va ricordata la prima pianta di A. Gilliéron (1876), che lesse anche alcune iscrizioni e segnalò diversi bassorilievi, per passare alla breve visita di B. Pace, seguita dagli scavi di L. Rey (1923-1939) accompagnati dalla fondazione di una rivista (Albania. Revue d’archéologie, d’histoire, d’art et des sciences appliquées en Albanie et dans les Balkans) e dall’inaugurazione del museo di Vlora (8 ottobre 1936). Le ricerche eseguite dopo la seconda guerra mondiale (1945-2003) sono suddivise in quattro fasi, scandite dalle diverse direzioni e anche dalla situazione politica del paese. Ampi riferimenti alla storia delle ricerche tornano nella seconda parte del volume, con opportuni rinvii alle illustrazioni comuni, in particolare le antiche mappe.

S. Gjongecaj e O. Picard firmano il terzo capitolo sulle monete: quelle di età greca sono frutto di emissioni sollecitate nel IV e III sec.a.C. dalla madrepatria Corinto, dalla quale prendono anche i tipi; come ben sottolineano gli autori, gli Apolloniati intraprendono una vera e propria politica monetaria solo nel III sec.a.C., quando si alleano con i cittadini della vicina Epidamno/Dyrrachion, imitandone le monete d’argento sia nei tipi che nei pesi. Sono le famose dracme ed emidracme con vacca che allatta, suddivise dagli studiosi in quattro periodi, della fondazione di Apollonia al 48 a.C. La guerra civile costituisce un momento importante nella storia di Apollonia e sancisce l’alleanza fra le due città che hanno una sorte molto diversa : Apollonia, schieratasi con Cesare, diventa una civitas libera et immunis, mentre Dyrrachion, avendo parteggiato per Pompeo, una colonia.
Le monete di bronzo rimangono invece particolari degli Apolloniati e recano testimonianza dei culti di Dioniso, Apollo (con l’obelisco), Atena, e del Nymphaion, una roccia che produce fuoco, un luogo di culto del tutto speciale, ben testimoniato dalla tradizione letteraria (pp.42-44) che lo collega con il bitume di cui era ricca la zona. Per le monete di età severiana sono importanti le precisazioni sulle scene relative al culto isiaco ed a quello di Apollo Agyieus, quello dell’obelisco, con evidente richiamo alla fondazione della città. La monetazione romana di Apollonia continua fino ad Eliogabalo, ed è oggetto di una classificazione dei monetieri, molto utile per la cronologia delle emissioni (H. Ceka): il tutto è illustrato da buone tavole.

Il quarto capitolo della prima parte è dedicato alle produzioni materiali e artistiche: si comincia con le analisi delle pietre, utilizzate per le mura e per gli edifici, reperite nei dintorni della città e poi, mano a mano, in siti più lontani (L. Koço e V. Sillo). Segue un’ ampia sezione di I. Pojani, che prepara un Corpus di tutte le sculture rinvenute nella città e sparse in vari musei, albanesi e non (Vienna, Parigi, Londra, Istanbul e Ankara), alcune note solo dalla bibliografia. Sono schedate 250 sculture o frammenti, raggruppate per genere, complessivamente databili dal VI sec.a.C. al III d.C.; nei secoli V e IV a.C. gli Apolloniati seguono modelli attici (es.fig.44) e si ispirano poi ad artisti tarantini, in particolare nella serie di stele che diffondono in tutta la regione, alcune delle quali, a due o tre registri, veramente originali. Significative della cultura locale sono quelle legate alle pratiche religiose, cioè le rappresentazioni del cavaliere o del banchetto, e quelle di Pan e le Ninfe (fig.54). Nei primi secoli dell’impero si suppone ci fosse ad Apollonia una scuola di scultura (oltre a quella di retorica frequentata da Ottaviano nell’autunno del 45 a.C., fonti a pp. 70-71) che continua ad utilizzare modelli greci. Stupisce la scarsa influenza romana malgrado la collocazione della città  all’inizio della via Egnatia, ma essa è pur la via che conduce in Grecia!

Le influenze esterne, i rapporti con altre città greche e le caratteristiche della produzione locale emergono anche molto bene nel capitolo sulla ceramica (V. Bereti, V. Dimo, J.-L. Lamboley, B. Vrekaj): innanzi tutto le più antiche ceramiche greche, databili tra il 610 e il 600 a.C. ci forniscono la cronologia della fondazione, sulla quale la tradizione scritta tace; alla corinzia si aggiungono esemplari di ceramica ionica, poi a figure rosse e a vernice nera; la ceramica acroma viene giustamente considerata a parte, ma non è meno importante, per esempio considerando i bolli anforari che ne testimoniano la provenienza da Rodi, Chio, Cos e, più tardi, dall’Italia. Gli Apolloniati dimostrano una particolare attitudine a copiare i modelli circolanti: dal IV sec.a.C. si registrano imitazioni di prodotti apuli e poi la campana e la sigillata chiara, prodotte per la città e l’entroterra, sono imitate e poco importate. A tutto questo si aggiungono i vasi di vetro, soprattutto dal I sec.a.C.; dieci tavole di fotografie e una tipologica (fig. 65) illustrano questo rilevante settore di ricerca.

La seconda parte del volume (Ph. Lenhardt, D. Munoz, F. Quantin) è soprattutto volta allo studio della topografia di Apollonia: la necessità di una visione globale del sito ha indotto gli studiosi a definire un programma cartografico della città intra-muros e in parte degli immediati dintorni.
La storia degli scavi e delle antiche esplorazioni riprende argomenti già incontrati nella prima parte, alla quale gli autori rimandano puntualmente, come si è detto. Qui vengono presentati le caratteristiche del terreno, il metodo e le tecniche di rilevamento usati nel 1993 e le due carte in scala 1 : 10.000 ottenute con un prezioso lavoro di collaborazione, nonostante la diversa numerazione nelle piante delle figg. 66 e 67. Uno dei risultati più interessanti è quello relativo alla rete viaria ortogonale, illustrato in fondo al volume.
I piani regolatori della città (B. Dautaj, Ph. Lenhardt, F. Quantin) sono stati due, il primo, impostato sugli assi nord/est-sud/ovest, è testimoniato da due strade scavate da B.Dautaj riportate in ‘rosso’ su un’ ottima cartografia (figg.243-245), l’altro è basato sull’orientamento dei muri della parte centrale della città, anch’essi ortogonali e resi in ‘blu’(figg.245-246). Giustamente, in mancanza di elementi decisivi, gli editori non si pronunciano sulla cronologia dei due impianti, perché due orientamenti diversi possono coesistere e perchè nel III sec.a.C. sono entrambi in funzione. Indubbiamente il secondo, che interessa il centro cittadino e soprattutto la collina ‘104’, potrebbe essere il più antico.
Nel paragrafo dedicato alle fortificazioni (C. Balandier, L. Koço, Ph. Lenhardt), che vengono descritte accuratamente e illustrate da ottime fotografie, si rende atto della bibliografia preesistente (storia degli scavi e notizie del BCH) accompagnandola con interessanti considerazioni sui due tipi di mura, e sul muro trasversale, più recente e costruito con materiale di reimpiego, la cui realizzazione è spiegata con un restringimento dell’area urbana, che è una delle più ampie dell’area epirota. L’indagine su porte e pusterle (figg.79-83) è il risultato di otto campagne; si può dire che le porte delle mura di Apollonia sono diverse da quelle delle altre città epirote, ma purtroppo in mancanza di scavi sistematici è impossibile datarle. Una ulteriore pubblicazione renderà atto delle indagini posteriori al 1994.
V. Dimo, J.-L. Lamboley, Ph. Lenhardt e F. Quantin firmano le pagine dedicate al centro monumentale  che si presenta (anche nelle fotografie molto ben scelte) come un centro politico di grande rilievo, edificato a sud-ovest della ‘collina 104’ , che è sostenuta da muri di contenimento ai quali è appoggiato l’odeion. Il complesso, datato al III sec.a.C. e rimaneggiato in età imperiale (statue onorifiche), è caratterizzato da tre portici, fra i quali quello famoso ‘delle 17 nicchie’ – che non ha confronti nel mondo greco –, da un tempio ionico, dal cosiddetto monumento degli agonothetai, che potrebbe essere identificato con il bouleuterion – in tal caso, il numero di 60 persone che vi avrebbero trovato posto sarebbe coerente con l’organizzazione oligarchica nota per la città – e da un vicino ipotetico pritaneo. L’odeion, che è coevo agli agonothetai (secondo quarto del II sec.d.C.), poteva contenere 650 spettatori. Malgrado tutti questi argomenti, il lettore si può stupire della conclusione degli autori sull’area in questione, che non sarebbe stata né il foro né l’esito di un’antica agorà. Gli autori sono altrettanto prudenti sull’interpretazione dell’obelisco, che certamente ricorda quello rappresentato sulle monete in relazione con il culto di Apollo Agyieus, anche se è stato rimontato in luogo diverso da quello di rinvenimento.

Segue il contributo di J.-L. Lamboley sugli scavi recenti, nell’area a nord del portico ‘delle 17 nicchie’ dove Léon Rey si era fermato (figg.109-121). Si tratta di campagne annuali a partire dal 1994 e ancora in corso, i cui rendiconti sono pubblicati nel BCH; si segnalano per importanza
la grande strada che sale verso la terrazza che separa le due acropoli (fig.122), la più larga di quelle conosciute per ora in città (9 m – 7,30 m) ed un tempio datato nel corso del I sec.a.C.
La ‘collina 104’ si chiama così perché è alta 104 metri ed in questo si distingue dall’altra, la ‘collina 101’ che è detta ‘acropoli’ perché così la definì Gillieron, anche se è evidente che si tratta di due acropoli. A sud della ‘104’ il Sestieri condusse uno scavo nel 1941 che produsse interessante materiale dall’età arcaica a quella romana. Per entrambe si segnalano rinvenimenti di carattere cultuale: sulla ‘104’ un tempio forse di Artemide (fregio ionico e due iscrizioni) oltre a iscrizioni arcaiche e a una dedica ad Asclepio del IV-III sec.a.C.; sulla ‘101’ si segnalano testimonianze del culto di Zeus e di Apollo Phoibos (due statuette in bronzo) e una imponente rampa di accesso (35 x 5 m.). Non ci vuole troppa immaginazione, da parte del lettore, per ipotizzare l’attribuzione delle due colline ai due divini gemelli, sempre preposti alla fondazione di una colonia!
A nord dello spazio urbano una fontana monumentale, o Ninfeo, (V. Bereti, V. Dimo, Ph. Lenhardt, F. Quantin) utilizza sorgenti d’acqua attive ancor oggi. Si tratta di uno straordinario edificio che cattura e canalizza l’acqua con due sistemi indipendenti di approvvigionamento, uno è il classico portico, l’altro una semplice bocca a doccione.
Ancora in area urbana è il teatro (V. Dimo, Ph. Lenhardt, A. Mano, F. Quantin) scavato dal 1971 dalla compianta A. Mano, che ne ha proposto la cronologia della prima costruzione alla seconda metà del III a.C. e dei rimaneggiamenti alla fine del I a.C. e nel II d.C. Dal teatro provengono molte delle sculture trattate da Pojani e parecchie monete dal II a.C. al III d.C., epoca dell’abbandono. Il teatro ha una capienza di 6000-8000 posti, le pedane della prima fila portano delle lettere isolate o in sillabe, che possono essere nomi abbreviati, per le quali si è pensato alle suddivisioni del corpo civico, anche se le abbreviazioni sono per buona parte diverse da quelle dei magistrati noti dalle dediche ad Afrodite (P. Cabanes, CIGIME I,2, nn.7,190,191,371).

Il contributo sulle case di Apollonia (F. Prendi e A. Skendera) presenta quattro complessi edificati a terrazzamento sulle pendici della collina principale, la stessa del teatro (fig.189): si tratta di abitazioni databili dal V sec.a.C. al III d.C. , con interessanti fasi in età tardo-ellenistica e romana. In particolare la casa ‘D’, detta anche di Atena per il rinvenimento di una statua (fig. 196), merita una menzione per i due cortili a peristilio ed i mosaici. E’ un settore finora poco studiato, la cui conoscenza sarà utile per migliorare la comprensione della pianta della città.

Fra i complessi extra-urbani presentati nel volume ci sono gli edifici  del Monastero di Santa Maria (V. Dimo, Ph. Lenhardt, F. Quantin), sono costruzioni difficilmente interpretabili perché fatte con reimpiego di materiale antico, in parte proveniente dal teatro, ma anche dalla collina ‘104’. Esse sono già ricordate da B. Pace (1916-1920) che le vide prima dei restauri. Non lontano dal Monastero si trova l’edificio identificato con un ginnasio dal Sestieri, che ne diede due relazioni (1942), qui rilette per suggerire la possibilità che si tratti di un santuario di età ellenistica.
Per le necropoli (V. Dimo, A. Fenet, A. Mano), poco esplorate in passato, si possono oggi identificare le aree ad esse destinate (fig.203). La più importante è certamente quella presso il villaggio di Kryegjata, della quale già il Sestieri si era interessato, poi la Mano e V. Dimo ne hanno esplorato tumuli di varie dimensioni, e ancora la Fondazione Packard, per un risultato di 354 tombe distribuite in due fasi, VI-V e IV- III sec.a.C. Si praticava sia l’incinerazione che l’inumazione; ci sono forse tracce di cerchi delimitanti gruppi di sepolture che troverebbero confronti con il Piceno. In età imperiale si praticava la sola inumazione.
Il materiale copre un arco cronologico dal VI a.C. al III d.C. ed è importante per quantità e qualità, a cominciare dalla ceramica corinzia, attica e poi apula; vanno menzionati anche oggetti di metallo di un certo interesse, per finire con i cippi  e le stele in calcare. Un ‘annexe’ di O. Munoz sui resti umani delle 30 deposizioni del tumulo VIII completa il quadro con belle tavole riassuntive.
A meno di un km dalla città si trova il santuario di Shtyllas (Ph. Lenhardt, F. Quantin), oggetto di uno studio recente di F. Quantin al quale il testo rimanda. L’unica colonna dorica rimasta al suo posto e un rilevamento del terreno dal quale sono stati estratti i blocchi ha consentito agli studiosi di ricostruire la pianta (figg.239-241).
Gli stessi autori con V. Dimo e L. Koço illustrano anche altri piccoli insediamenti antichi della piana a nord e a ovest di Apollonia.

Il volume si chiude con le parole di Pierre Cabanes che ribadisce come questo ricco volume sia solo il primo di una serie di pubblicazioni che approfondiranno lo studio di tutti gli elementi qui così ben presentati ed auspica l’istituzione del parco archeologico di Apollonia, indispensabile per proteggere un bene così rilevante per l’Albania.