Porten Palange, Francesca Paola: Lucerne a volute monolicni e bilicni dal teatro di Caesarea Maritima, (Archaeologica, 177), pp. 148 di testo, Tavv. 65 f.t., cm 17 x 24, ISBN: 978-88-7689-303-2, 76,50 €
(GIORGIO BRETSCHNEIDER EDITORE, Rome 2017)
 
Recensione di Paolo Cimadomo, Università di Napoli "Federico II"
 
Numero di parole: 1298 parole
Pubblicato on line il 2018-01-31
Histara les comptes rendus (ISSN 2100-0700).
Link: http://histara.sorbonne.fr/cr.php?cr=3233
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          Donald M. Bailey, recensendo i testi sulle lucerne del Museo di Salamina di Cipro e degli scavi di Atene, rilevava che esistono tre generi di libri sulle lucerne: la guida generale sul soggetto, il catalogo del museo e il report di scavo ([1]). Il volume qui esaminato, scritto da Francesca Paola Porten Palange, può considerarsi una sorta di “ibrido”, poiché si pone a metà strada tra il report di scavo e un catalogo simile a quello dei musei. Esso, infatti, tratta, come evidenziato già dal titolo, di un unico, particolare tipo di lucerne, generalmente definite “a volute”, ascrivibili a quello che nella letteratura scientifica più diffusa è definito “Bailey Tipo D”, già “Loeschke 1919, Tipo III”. Tali lucerne hanno costituito fin dal momento della scoperta un insieme omogeneo, dato che sono state ritrovate tutte insieme nell’iposcenio del teatro di Caesarea Maritima durante gli scavi effettuati dalla Missione Archeologica Italiana diretta da Antonio Frova oltre cinquant’anni fa. Di queste, 5 furono restaurate (“frettolosamente”, come ricorda l’Autrice) a Milano e oggi sono conservate a Gerusalemme. Il resto del gruppo è tuttora a Milano, nei magazzini del Civico Museo Archeologico. In un primo tempo affidato ad Arturo Stenico, il compito di analizzare questi esemplari è stato poi assegnato all’Autrice già nel 1966 ma per diverse ragioni il lavoro ha visto la luce solo cinquant’anni dopo, nel 2017.

 

         Il tipo richiama commerci dal Mediterraneo occidentale, quasi certamente dalla penisola italica, ma l’assenza di dati archeometrici non consente di andare oltre la semplice congettura di una importazione. D’altronde, Varda Sussman già nel 1996 notava che quasi la totalità delle lucerne trovate a Cesarea Marittima durante il I secolo a.C. e l’inizio del I secolo d.C. era di provenienza occidentale ([2]): è dunque molto probabile che questo gruppo sia effettivamente stato importato dall’Italia, in seguito all’acquisto da un unico “stock” di prodotti provenienti da una bottega o officina.

 

         Il lavoro di studio, dunque, rappresenta solo una selezione degli esemplari ritrovati durante gli scavi - l’Autrice stessa ricorda che le lucerne più tarde sono state affidate ad un’altra studiosa - in un contesto praticamente chiuso, costituendo un nucleo unitario e già da tempo musealizzato. Ad ogni modo, l’elevato numero di lucerne (almeno 140/150 ricostruibili, ma i frammenti arrivano ad un numero di quasi 500 esemplari) permette di affermare che esse costituiscono un insieme sicuramente compatto e tra i più notevoli che siano mai stati trovati.

 

         Uno dei problemi maggiori – o, meglio, il problema principale - era costituito dallo stato altamente frammentario degli esemplari (la Porten Palange afferma che in molti casi il materiale fosse addirittura “polverizzato”), con l’eccezione di una lucerna, ritrovata quasi intatta ed inserita nel gruppo di quelle donate al Museo di Gerusalemme. In ogni caso, nessun esemplare ha offerto l’opportunità di ricostruire il quadro d’insieme di tutti gli elementi caratterizzanti (presa, disco e becco), impedendo dunque di ripristinare tutte le possibili combinazioni tra gli stessi. Ad eccezione di quella adesso a Gerusalemme, ben altra sorte è invece toccata alle altre lucerne: una lunga operazione di restauro, completata solo negli anni ’80 del secolo scorso, è stata infatti necessaria prima di procedere allo studio. L’alto grado di frammentarietà dei soggetti analizzati, unito all’insolita ubicazione - l’iposcenio del teatro - hanno indotto l’Autrice ad ipotizzare, molto verosimilmente, un improvviso crollo delle sovrastrutture, causato da motivi ancora sconosciuti.

 

         Gran parte del libro è ovviamente dedicata alla puntuale analisi dei pezzi ritrovati. Le lucerne sono tutte di dimensioni piuttosto grandi e paiono essere state scarsamente utilizzate, poiché il grado di annerimento dei becchi è poco elevato. Nel redigere il catalogo, Francesca Paola Porten Palange non ha avuto il problema di effettuare una scelta sui criteri da seguire per la divisione degli esemplari – che sono tutti ascrivibili al tipo “Bailey D”, come già visto in precedenza. Tuttavia, la catalogazione è stata suddivisa in tre parti: la prima, più cospicua, dedicata all’analisi dei dischi. L’Autrice, poiché le lucerne ritrovate appartengono tutte al cosiddetto modello “a volute”, per la creazione del catalogo ha preferito dividere gli esemplari sulla base delle tematiche decorative rappresentate sul disco: ritroviamo insieme lucerne bilicni e monolicni, divise in 22 gruppi contrassegnati dalle cifre romane. Le decorazioni spaziano da rappresentazioni di figure umane a simboli dionisiaci, da motivi vegetali a semplici geometrie. Uniche varianti all’omogeneità di ciascun gruppo sono rappresentate dalle prese, la cui specificità ha indotto la Porten Palange a creare sottogruppi appositi (si veda, ad esempio, il caso del Gruppo V, diviso nei sottogruppi “A” e “B”).

 

         Le prese non riattaccate costituiscono appunto la seconda parte del catalogo: considerato l’alto tasso di frammentarietà e le difficoltà nell’attribuire ogni presa ad un preciso tipo, esse sono state divise in 18 serie definite dalle lettere dell’alfabeto italiano (dalla “A” alla “T”). Di queste, alcune, come quelle inserite nella serie A o nella serie F, sono simili a prese attaccate a dischi di diversi gruppi; per la maggior parte, però, non è stato possibile trovare alcun attacco.

 

         La terza parte, invece, è composta da sole tre lucerne, recanti l’iscrizione “FAVSTI”, le quali sono state associate al tipo di lucerne a volute per caratteristiche tecniche, quali l’argilla e l’ingobbiatura, nonostante siano prive di disco, ansa e gran parte del serbatoio. Poiché mancano foto della parte superiore, probabilmente a causa del pessimo stato di conservazione in cui versano suddetti esemplari, non è facile per il lettore stabilire se effettivamente queste lucerne siano associabili alle altre analizzate nel testo, sebbene l’Autrice, attraverso un’attenta analisi autoptica, concluda ritenendo probabile che almeno due di esse fossero lucerne bilicni.

 

         Il testo è corredato da una buona serie di tavole, nelle quali sono presenti le fotografie e i disegni di una selezione di esemplari, utile comunque per riconoscere ciascuno dei 22 gruppi di tipi decorativi e di 18 serie di prese, oltre a due delle tre lucerne firmate dalla bottega di Faustus. Per la maggior parte dei disegni e delle fotografie, va tenuto presente che essi sono stati effettuati a Genova tra gli anni ’60 e 70’ del 1900 e non è stato possibile recuperare il nome degli autori. Restano comunque di buona fattura e sono un ottimo corredo alla precisa descrizione effettuata dall’Autrice.

 

         In sintesi, Francesca Paola Porten Palange offre un’analisi attenta e puntuale di un insieme compatto e omogeneo di lucerne, probabilmente – come deducibile dal racconto che ne fa l’Autrice stessa - frutto di un’unica acquisizione, tentando di catalogarle in base alla decorazione, vista l’impossibilità di scegliere il tipo come criterio base per la suddivisione in gruppi. La peculiarità di tali lucerne è ancora più sorprendente, se si tiene in conto delle vicende che hanno subito. Mi riferisco in particolare al fenomeno della musealizzazione degli esemplari stessi una volta portati in Italia, causato principalmente dall’antichità del ritrovamento, unita allo stato di alta frammentarietà in cui versavano. Sebbene non aiuti ad individuare nuovi tipi o decorazioni, il testo consente ad ogni modo di rinforzare l’idea che Cesarea Marittima, almeno durante la prima età imperiale, ebbe profondi e fortissimi legami con l’Occidente, e in particolare con l’Italia.

 

 


[1] D. M. Bailey 1978, Salamis. Salamine de Chypre. 7. Oziol (T.) Les lampes du musée de Chypre. (Institut F. Courby, CRA-URA, 15.) Paris: De Boccard 1977 ; Isthmia. Excavations by the University of Chicago under the auspices of the American School of Classical Studies at Athens. O. Broneer, Terracotta lamps. Princeton: American School of Classical Studies at Athens. 1977

[2] V. Sussman, «Caesarea illuminated by its lamps», in A. Raban and K. G. Holum (eds.), Caesarea Maritima. A Retrospective after two Millennia, Brill: Leiden-New York-Koln 1996, p. 347.