Schmidt, Arnika : Nino Costa (1826-1903). Transnational Exchange in European Landscape Painting, (Studi della Bibliotheca Hertziana), 23 x 31 cm, 256 p., 88 colour, 113 b/w, ISBN/EAN:9788836633845, 70 €
(Silvana Editoriale, Milan 2016)
 
Rezension von Laura Fanti, Université Libre de Bruxelles
 
Anzahl Wörter : 2679 Wörter
Online publiziert am 2018-09-21
Zitat: Histara les comptes rendus (ISSN 2100-0700).
Link: http://histara.sorbonne.fr/cr.php?cr=2928
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          Arnika Schmidt, oggi curatrice al Museo del Belvedere di Vienna, ha avuto il privilegio di poter pubblicare, grazie al sostegno della Bibliotheca Hertziana di Roma, la sua tesi di dottorato discussa allʼUniversità di Dresda nel 2013. Con alcune modifiche e ampliamenti, il volume ricostruisce la formazione di Nino Costa, le sue fonti italiane ed europee, le reti sociali, il mercato, e lʼimpatto del suo lavoro sullʼarte italiana. Fin da subito viene posto lʼaccento sul cosmopolitismo dellʼartista e sullʼaspetto rivoluzionario della sua pittura, che necessita di una rivalutazione critica. Lʼartista è stato dimenticato a causa della dispersione del suo lavoro e della rarità delle mostre dedicategli. Inoltre, i critici italiani contemporanei lo consideravano un esponente dellʼarte inglese, mentre in Inghilterra era visto come lʼitaliano che ha rinnovato la pittura di paesaggio inglese. Unʼattenzione particolare è rivolta a riconsiderare criticamente le prime fonti sullʼartista, come la biografia di Oliva Rossetti Agresti (1904), incentrata su una visione anglocentrica.

 

Capitolo I

Aspects of Costaʼs Life and Work and the International Contest

 

         Lʼautrice fornisce unʼanalisi dettagliata della biografia di Costa, degli incontri e dei suoi viaggi. Il suo attivismo politico e il cosmopolitismo sono evidenti fin dai primi anni a Roma (1846). Lʼimpegno risorgimentale ebbe una pausa tra il 1860 e il 1864, quando lʼartista ritenne di isolarsi a dipingere in Toscana e di intraprendere i primi viaggi in Inghilterra e in Francia. Tornò poi a Roma, dove fu tra i primi ad assaltare porta Pia il 20 settembre del 1870. Nel 1876 lasciò definitivamente la politica.

 

         La visione idealistica della natura sarà una caratteristica costante del suo lavoro, anche rispetto agli altri paesaggisti italiani, per i quali lʼuomo era sempre centrale. Al Caffè Greco, a Roma, e alla pensione Martorelli, ad Ariccia, frequentò molti artisti, tra cui Böcklin, Leighton e Overbeck. Nel 1847 iniziò a dipingere en plein air. Nel 1859, con la seconda guerra di indipendenza riprese a viaggiare. Espose alla Società Promotrice di Belle Arti e alla Prima Esposizione Nazionale Italiana di Firenze. Tra il 1862 e il 1863 viaggiò tra Firenze, Londra e Parigi, dove ricevette lʼammirazione di Corot. Tra il 1864 e il 1867, di ritorno a Roma, incontrò George Howard, che diverrà suo allievo e mecenate, e William Blake Richmond.

 

         Per lanciare un nuovo tipo di arte divenne membro del Circolo Artistico Internazionale (Società Artistica Internazionale), per poi fondare il Gold Club nellʼinverno 1875-1876, sostituito dal Circolo degli Artisti Italiani nel 1878. Convinto degli scambi transnazionali, riunì una serie di artisti, che si facevano chiamare Scuola Etrusca. Dagli anni Ottanta iniziò a collaborare con diversi giornali, tra cui La Fanfulla della domenica e Gazzetta dʼItalia. Il contatto con il reverendo Stopford Brooke gli permise di esporre i suoi lavori in una monografica nel 1882, alla Londonʼs Fine Art Society, visitata anche da John Ruskin (p. 24).

 

         Nel 1885 Costa espose di nuovo in Italia alla mostra degli Amatori e Cultori delle Belle Arti a Roma. Le critiche di Edoardo Scarfoglio sulla Fanfulla lo portarono a divulgare le proprie idee in fatto artistico (“amour, travail et liberté”) tramite Lʼart en Italie diretta da Auguste Durand. Molti artisti lo presero ad esempio e Alfredo Ricci e Alessandro Morani gli chiesero di dirigere il gruppo In Arte Libertas (1886).


         Lʼautrice inizia ad affrontare il tema del paesaggio ideale e gli scambi transnazionali a questo proposito, iniziati alla metà del XIX secolo. Molti artisti, già prima di Costa, si interessarono al paysage intime, agli aspetti più nascosti e misteriosi. Prosegue lʼanalisi di Donne che conducono le barche al porto di Anzio (1852) considerato dallʼartista un lavoro fondamentale perché vi traspose i principi della propria arte, come in un visual manifesto (p. 35), tanto da non volerlo vendere se non a un museo, cosa che accadrà con lʼacquisto da parte della Galleria Nazionale dʼArte Moderna di Roma alla sua morte. Lʼartista parlava di concetti attraverso i quali il dipinto venne realizzato, apportando, aggiungiamo, un aspetto mentale, anzi, ideale, che lo distingue dalla coeva pittura di paesaggio e lo avvicina maggiormente alle correnti simboliste. Costa vi mise mano più volte rendendo difficile una datazione, con un procedimento che metterà spesso in atto rendendo, oltre che difficile stabilire una cronologia, anche impossibile parlare di un vero cambiamento di stile (p. 42).

 

         Lʼautrice riporta quindi la teorizzazione dei concetti di pittura realista e pittura naturalista e parla della confusione che ancora oggi regna a riguardo. Alcuni teorici, tra cui Proudhon, legarono  realismo ed idealismo, consigliando agli artisti e agli scrittori di imparare dai Greci o dai Romani a rendere lo spirito del proprio tempo. Lo stesso farà Costa con i suoi allievi, suggerendo di ispirarsi ai primitivi, guardando però alla bellezza e allʼarmonia piuttosto che alla crudezza della realtà. Non è chiaro perché questa parte teorica venga inserita alla fine del capitolo, forse sarebbe stata più utile allʼinizio del successivo.

 

Capitolo II

Costa and the legacy of French landscape painting

 

         La continuità di Costa con i paesaggisti francesi è sancita dallʼammirazione che artisti come Corot e Rousseau gli tributarono al Salon del 1863, quando Costa vi espose Donne che conducono le barche al porto di Anzio. Schmidt ci ricorda come la nuova pittura di paesaggio del XIX secolo non fosse slegata dalle accademie e Corot ebbe un ruolo cruciale. Egli con i suoi études terminées ha connesso pittura neoclassica e pittura en plein air, dando vita al genere del paysage intime: lʼartista parte da un paesaggio reale, per catturarne lʼatmosfera, renderla visione e trasporla infine in dipinto. A questa corrente apparteneva anche Costa, il quale sosteneva che il vero dovesse passare attraverso il sentimento del pensiero, riprendendo il corotiano “Le beau dans lʼart, cʼest la vérité baignée dans lʼimpression que nous avons reçue à lʼaspect de la nature”[1]. Costa si serviva dellʼ“eterno bozzetto”, lo schizzo della prima impressione, per mantenere lʼidea iniziale. Per entrambi lʼesperienza personale era essenziale così come lʼuso di velature grigie, che restituisce unʼimmagine non comune dellʼItalia:  fu così che un dipinto di Costa venne rifiutato dalla Royal Academy (p. 69).

 

Capitolo III

Nino Costa and the German world

 

         Böcklin vedeva nella campagna italiana la possibilità di intreccio tra natura incontaminata e  mistero di un passato lontano e mitico. La presenza di figure mitologiche nei dipinti degli anni Settanta di Costa è attribuito allo scambio con lʼartista svizzero. Altri artisti sono coinvolti nel dialogo col mondo germanico, tra cui i Nazareni. Costa stimava Böcklin, del quale possedeva unʼopera, e lo invitò ad esporre allʼassociazione In Arte Libertas (1889 e 1891). Il suo influsso si nota in particolare nellʼopera The Whistler (1886). Pan ricorre spesso, probabilmente grazie anche allʼinteresse che il personaggio rivestiva presso i circoli letterari inglesi. Chi lo sostenne maggiormente fu Wilhelm Füssli (1830-1916), importante tramite con il mercato tedesco, che lo aiutò ad esporre a Berlino, Vienna, Monaco e Francoforte. Questo capitolo è piuttosto rigido rispetto ai precedenti e gli scambi artistici e transnazionali sono messi in minor risalto.

 

Capitolo IV

The appeal of Great Britain and the lure of Italy

 

         Ora si discute degli associati inglesi alla Scuola Etrusca e degli scambi con lʼItalia.  Lʼassociazione  facilitò le esposizioni di italiani in Inghilterra, mentre In Arte Libertas si occupò di far circolare i lavori degli inglesi in Italia. Il mondo anglosassone fu molto affascinato dalla figura di Costa e dal suo impegno politico, anche più che dalla sua arte (p. 89). Lʼautrice presenta quindi lʼAesthetic Movement e le sue connessioni con lʼItalia e lʼarte italiana, ripercorrendo gli scritti di Walter Pater e le teorie di Ruskin, fino alla nascita del paesaggismo “allʼitaliana”. Inizialmente fu il preraffaellismo ad imporsi, soprattutto con la sua minuziosità, ma le critiche arrivarono ben presto. Gli scambi di Costa con gli inglesi divennero intensi dal 1852, grazie allʼincontro con Mason, Coleman e Leighton. Gli scambi più proficui ci furono con il primo, il quale al ritorno dallʼItalia iniziò a soffrire di depressione e fu assistito da Costa, il quale nel 1863 andò a vivere da lui. In quel momento lʼitaliano rimase estasiato dalla campagna inglese. Entrambi gli artisti avevano la capacità di armonizzare forma e sentimento, sebbene Costa fosse più concentrato sul paesaggio. Leighton era il più legato allʼAesthetic Movement e fu probabilmente affascinato dal fatto che Costa appartenesse a un milieu diverso da quello ufficiale inglese, pieno di gelosie ed intrighi (p. 98). Costa aiutò  Leighton nella sua definizione di paesaggio, insieme naturalmente a tutta la tradizione inglese e francese, anche se era più interessato al paesaggio di immaginazione: “Besides more formal and technical studies of details executed with a particular composition in mind, it seems Leighton enjoyed sketching nature as an aid to contemplation.” (p. 101). William Blake Richmond fu vicino a Costa durante lʼesilio a Firenze. Egli amava la capacità di Costa di mescolare lʼidillio, la pittura di paesaggio e la memoria storica, e ne fece un maestro. Un altro suo allievo fu George James Howard, il quale lo sostenne economicamente e diverrà patrono della Scuola Etrusca.

 

         Lʼautrice dedica un interessante approfondimento alla Scuola Etrusca (nata nellʼinverno 1883-1884) e agli scambi con gli inglesi (p. 108-118). Già nel 1887 Costa venne riconosciuto leader della scuola di paesaggio, come attesta questa nota dello stesso anno: “It is plain, then, that Signor Costa has left his stamp on contemporary art in England and is rapidly forming a school of landscape painters trained in the principles of his admirable art”[2]. Il gruppo cercava di combinare la traduzione realista con emozioni personali, e allʼinterno si scambiavano abilità e conoscenze tecniche. LʼItalia contribuiva con le sue leggende e la sua tradizione artistica, in particolare della pittura dei primitivi, e lʼInghilterra con modelli intellettuali di interpretazione. A suo tempo questi scambi reciproci non vennero capiti.

 

         Gli Etruschi erano ritenuti un popolo dignitoso e la loro arte un ottimo punto di partenza per una nuova scuola di artisti. Lʼinteresse per lʼEtruria era animato da una rinascita dellʼidea del genius loci, dal bisogno di contemplazione legato alla memoria di un luogo, ma anche al suo passato leggendario e allʼinteresse nascente per le comunità rurali. In questa ottica, lʼAgro romano era visto come luogo incontaminato. Questo paragrafo Italy seen with Etruscan eyes non raggiunge il suo scopo, si parla di panteismo e di S. Francesco, ma quale sia il genius loci dellʼEtruria e cosa indusse gli artisti ad occuparsi di paesaggi umbri, non è molto chiaro. Gli amici di Costa avrebbero introdotto lʼartista alla poesia inglese, a Shelley ad esempio, che non era ancora stato tradotto in italiano. Alcune opere di Costa derivano il proprio titolo dalla poesia romantica inglese o si rifanno a storie legate ai loro autori.

 

         Viene dunque riportata la tecnica minuziosa e lenta che Costa e Leighton adoperavano al fine di rendere la luminosità e la trasparenza della tela. Grazie ad alcuni esami ad infrarosso si è scoperto che Costa utilizzava la polvere dʼoro e dʼargento, fatto unico nella pittura di paesaggio dellʼepoca. La sua tecnica era talmente sperimentale da rendere difficile capire il medium utilizzato, spesso utilizzava mixed media. Il reverendo Stopford Augustus Brooke fu un riferimento intellettuale molto importante, egli condivideva le idee del gruppo degli “Etruschi”. Dopo Howard e Brooke fu il collezionista maggiore di Costa. Qui, come in altri casi, lʼautrice ricostruisce con dovizia gli incontri e le possibilità di visione delle opere di Costa da parte dei suoi amatori.

 

Capitolo V

Costaʼs impact on the development of Italian art

 

         Si tratta del capitolo più lungo del libro e del più discontinuo, come ad esempio a pagina 139, dove si introduce lʼimportanza dellʼuso della fotografia da parte di Costa mentre si sta parlando dei dispositivi macchiaioli. Del contributo dato da Costa allo sviluppo dellʼarte dei Macchiaioli si ribadisce tramite una citazione di Diego Martelli, il quale parlò sempre del ruolo di ispiratore assunto da Costa (p. 131). Costa si trovava a Firenze in un momento fondamentale per i Macchiaioli, gli anni tra il 1859 e il 1862. Qui studiò sul motivo ed espose alla Società Promotrice di Belle Arti, facendosi notare per il suo realismo (1861); Donne che imbarcano legna al Porto dʼAnzio venne apprezzata da molti artisti, tra cui Fattori, e meno dalla critica. La sua componente idealista contrastava con il realismo sociale di Martelli e Signorini: “The idealistic vision that informed Costaʼs approach to realistic subject matter and the importance of choosing beauty over ugliness, vulgarity and randomness, were major points of difference that distinguish him from Macchiaioli” (p. 136-137).

 

         A differenza dei Macchiaioli, che preferivano la luce piena del giorno e i suoi effetti drammatici, Costa sceglieva toni intermedi, dissolvenze di colore, che suggeriscono pace ed armonia. Dipingere motivi toscani era per lui, come per i Macchiaioli, un tratto distintivo della propria identità nazionale, sebbene Costa fosse più interessato alla poesia e i Macchiaioli alla prosa (p. 143).

 

         Costa tra il 1870 e il 1903 si impegnò organizzando mostre di autori meno “alla moda” di Fortuny e la sua cerchia, come Elihu Vedder e Charles Caryl Coleman al Circolo Artistico Internazionale di Roma (1872). Nel 1879, anche in seguito alla cattiva ricezione dellʼarte italiana allʼEsposizione Internazionale di Parigi fondò il Circolo degli Artisti Italiani. Naturalmente questo percorso si inserisce nel dibattito sulla necessità di unʼarte e di una scuola nazionale che vide la scuola fiorentina e quella romano-napoletana in opposizione. Costa, nonostante fosse romano, fiancheggiava la fiorentina, per lʼidealismo che promuoveva (p. 146-147).

 

         Costa viveva a Bocca dʼArno in quegli anni, ma partecipò ad eventi importanti come la mostra della Società Amatori e Cultori di Belle Arti al Palazzo delle Esposizioni a Roma nel 1885, anche se il suo lavoro continuava ad essere recepito in modo assai poco positivo. In molti parlavano di pre-raffaellismo, a volte senza ricondurlo al movimento inglese ma alle reminiscenze dei singoli artisti.

 

         Quindi lʼautrice riparla della formazione del gruppo In Arte Libertas, del cui egualitarismo si prende conoscenza dallo statuto: gli artisti potevano esporre ciò che volevano, lʼintervento del governo era bandito così come pagare i critici per avere recensioni positive. Costa fu elemento attivo del gruppo, sebbene preferisse definirsi leader della Scuola Etrusca. Costa e Angelo Conti ebbero vari contrasti, ma entrambi rifiutavano lʼaspetto commerciale della produzione artistica e tenevano in grande considerazione la tradizione e il vero. Conti stroncò lʼarte di Costa, che lasciò la società nel 1903.

 

         Termina il volume un esame delle ultime opere dellʼartista (p. 165-179), che continuò a lavorare in campagna e ad avere scambi internazionali, mentre la sua produzione assunse accenti più simbolisti. Lʼautrice si sofferma in particolare sul capolavoro Ninfa nel bosco (1863-1897), unʼopera dalla quale Costa non si separò mai, poiché sperava di donarla alla sua città. Secondo Schmidt lʼopera “exemplifies Costaʼ constant search for an individual expression somewhere between realism, idealism, aestheticism and symbolism” (p. 173).

 

         I meriti di questa pubblicazione sono numerosi: dallʼaver approfondito la figura di Nino Costa e il milieu in cui egli ha operato, allʼaver ricostruito la sua idea di paesaggio e lʼimportanza degli scambi transnazionali per la storia dell'arte. Lʼautrice ha messo in rilevo lʼattività nazionale e transnazionale di Costa; dʼaltronde egli stesso ha dimostrato che nazionalismo e transnazionalismo possono convivere in modo fruttuoso (p. 181). A volte, tuttavia, nel denso intreccio di eventi, la cronologia è un po' confusa, ci sono troppi salti temporali e alcune notizie vengono riportate più volte in sezioni diverse. I capitoli sono un po' slegati tra di loro e alcuni passaggi non sono giustificati. Queste annotazioni non tolgono qualità a un lavoro e ad una pubblicazione di alto interesse scientifico.

 

 


[1]    Alfred Robaut, Lʼœuvre de Corot, Laget, Paris, 1965, p. 165-166.

[2]    Julia Cartwright,  “The art of Costa”, in Portfolio, January 1887, p. 151.


N.B. : Laura Fanti prépare actuellement une thèse de doctorat intitulée "Le Symbolisme belge et l’Italie: production artistique, discours critique et transferts culturels entre 1880 et 1920)" sous la direction de  M. Denis Laoureux (université libre de Bruxelles).