Mantovani, Valentina : Ceramiche fini da mensa di Adria Romana. Le indagini di via Retratto (1982 e 1987), Collezioni e Musei Archeologici del Veneto, 48, 288 pp., Tavv. 59 e 690 illustrazioni n.t. , cm 25 x 28, ISBN: 978-88-7689-295-0, 126 €
(Giorgio Bretschneider Editore, Roma 2015)
 
Compte rendu par Carlo De Mitri
 
Nombre de mots : 1339 mots
Publié en ligne le 2016-11-22
Citation: Histara les comptes rendus (ISSN 2100-0700).
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          Il volume di Valentina Mantovani è suddiviso in sette capitoli, con paragrafi interni, così articolati:

 

  • Le indagini di via Retratto
  • I Materiali
  • La Ceramica a Vernice nera
  • La ceramica a Pareti Sottili
  • La Terra Sigillata
  • Altre produzioni
  • Osservazioni sull’instrumentum adriese di prima età imperiale

 

         Parti inscindibili e fondamentali del volume sono le appendici e le tabelle che costituiscono il corredo grafico dei dati presentati nei capitoli precedenti.

 

         Nel primo capitolo, attraverso un agile quadro di sintesi, si illustrano i rinvenimenti effettuati in via Retratto, i cui materiali sono oggetto specifico di studio del volume, in relazione ai dati generali di Adria romana. Grazie alla cartografia ed alle piante di sintesi inserite nel testo, è agevole comprendere l’estensione della città in età romana ed il rapporto topografico che intercorreva con  l’area oggetto di scavo  negli anni’80 del  secolo scorso.

 

         Nel successivo capitolo sono brevemente annotate le differenti classi di oggetti rinvenuti, materiale vitreo, materiali metallici, monete e materiali ceramici, e si precisa che lo studio presentato si concentra sulla ceramica fine da mensa che, in base alle caratteristiche tecniche della produzione, è stata suddivisa in tre grandi “famiglie” ceramiche: la ceramica a vernice nera, la ceramica a pareti sottili e le terre sigillate.

 

         All’interno di ogni famiglia sono state individuate le diverse classi e la discriminante utilizzata per la definizione di ognuna di esse è la produzione; dopo la classificazione segue l’analisi di eventuali marchi di fabbrica, la discussione delle analisi archeometriche, qualora queste siano state effettuate e, comuni per ogni raggruppamento, le considerazioni finali.

 

         La prima famiglia ad essere analizzata è quella delle vernici nere e, nell’introduzione, grazie al grafico, è subito visualizzato il dato quantitativo. Sulla base dei luoghi di produzione si riconoscono due classi, la prima, pressocché esclusiva, è la ceramica a vernice nera di produzione locale e/o regionale, seguita da un unico esemplare di Vernice nera realizzata in Campania, a Cales. La classificazione della ceramica nord-Italica/adriese segue una tipologia interna che però è sempre riferita agli studi “storici” imprescindibili di tale classe, ovvero quelli di Morel e di Lamboglia.

 

         Si evince quindi la presenza di produzioni locali con prevalenza di forme aperte, in particolare la patera forma 8, corrispondente al tipo Morel F 2277c 1/Lamboglia 7/16, prodotta in età tiberiana come indicato dai bolli in planta pedis discussi nel paragrafo successivo. Il catalogo dei marchi di fabbrica evidenzia infatti la stretta connessione tra questi e quelli presenti sulla terra sigillata tanto da indurre a ritenere la forma 8 una variante nera della terra sigillata anziché una forma terminale della vernice nera. In generale si sottolineano gli stretti legami tra le due produzioni che, pur avendo una resa cromatica differente, presentano repertori formali affini.

 

         Le considerazioni offrono un quadro conclusivo sulla vernice nera in cui l’autrice argomenta i dati archeometrici, in relazione non solo al materiale adriese ma anche a quello rinvenuto in contesti limitrofi e regionali, per supportare l’ipotesi di una produzione in situ, che appare quindi condivisibile.

 

         La seconda famiglia è quella delle pareti sottili; anche in questo caso la divisione in classi prevede il riconoscimento dei manufatti locali da quelli provenienti da altre officine. Nell’introduzione si presentano i dati quantitativi che dimostrano la netta supremazia delle produzioni locali/regionali rispetto alle importazioni, attestate solo da quattro esemplari: due di produzione lionese, uno forse pannonico ed uno da Sirmium. Le osservazioni generali poste nella presentazione della produzione adriese riassumono le conoscenze note e le questioni ancora dibattute, ovvero il rapporto tra le officine nord italiche e quelle medio italiche; i centri di produzione di tali vasi potori e la loro distribuzione spesso circoscritta ad un mercato locale; la difficoltà di attribuire un valore conoscitivo alla sola analisi macroscopica. Segue quindi il catalogo delle pareti sottili nord italiche/adriesi per le quali, nonostante le differenze macroscopiche, si individuano alcuni gruppi di impasto con caratteristiche morfologiche, compositive e cromatiche omogenee. Anche in questo caso la a classificazione segue una tipologia interna, sempre però con i dovuti riferimenti alla cospicua bibliografia storica nota.

 

         Nelle considerazioni l’autrice utilizza sia le osservazioni scaturite dall’analisi di alcuni esemplari con evidenti malformazioni del corpo, sia i confronti con rinvenimenti similari in un’area macroregionale per sostenere la convincente ipotesi di una produzione locale di tali manufatti.

 

         La parte più corposa è dedicata alle terre sigillate italiche. Dapprima vengono forniti i dati sulla terra sigillata liscia, di fattura prevalentemente nord-italica, con una presenza minoritaria di produzioni aretine e di generiche officine centro-italiche. In questa parte è forse ravvisabile l’unica annotazione non positiva del volume: lo studio e l’analisi della terra sigillata liscia è meno approfondita da un punto di vista specificatamente ceramologico, e per avere un quadro esaustivo delle forme attestate occorre controllare i dati presentati nelle tabelle poste alla fine del volume. Risulta invece ben condotto lo studio dei marchi di fabbrica che consente appunto di attribuire la maggior parte del vasellame a figline nord italiche. Con un maggior approfondimento sono analizzate le sigillate a rilievo, delle quali si presenta una sintesi sullo stato della ricerca, sui dati editi relativi ai luoghi di produzione ed alle attestazioni e, infine, sulle analogie tra questi manufatti e quelli in sigillata gallica. Nel catalogo sono declinate le diverse forme con una numerazione interna in cui vi sono le concordanze con classificazioni già note, e, in casi specifici, si delineano anche dei tipi, come per la forma 5, la coppa nota in letteratura come coppa tipo Sarius o Sariuschale.

 

         Nell’analisi delle officine si evidenzia la presenza di numerose firme, riconducibili a produzioni padane o nord italiche, e lo studio di ognuna di esse viene condotto in modo puntuale ed esaustivo fornendo non solo i confronti ma anche i dati relativi alla diffusione della stessa firma su diverse forme e gli eventuali collegamenti stilistici o proprio manifatturieri con le produzioni centro italiche e quelle provinciali. Un importante aspetto è quello relativo alle analisi archeometriche che consentono di definire alcuni aspetti, primo fra tutti quello dei differenti viraggi cromatici dei rivestimenti, dovuti a processi di alterazione post-deposizionali ed, in secondo luogo, il fatto che le argille utilizzate per la produzione della sigillata padana liscia sono differenti da quelle impiegate per quella decorata. Il proseguimento di tali studi su campioni provenienti da altri luoghi di produzione, comparati con i bacini di rifornimento delle argille, consentirà in futuro di rispondere ad interrogativi cui le sole analisi chimiche non possono fornire un risultato completo.

 

         Nell’ultimo capitolo dedicato ai materiali si presentano due esemplari non attribuibili ad una produzione identificata ed un piatto a pasta grigia di produzione efesina, dato quest’ultimo che arricchisce il quadro documentativo di tale classe attestata in Adriatico e che sul versante tirrenico della penisola era invece sostituita da omologhi prodotti in area campano-laziale.

 

         Le conclusioni, forse un po’ troppo affrettate, sintetizzano i dati cronologici del contesto ed offrono un ventaglio di ipotesi sulla formazione di tale scarico e la sua chiusura. Infine, nella seconda parte, la studiosa evidenzia il ruolo di Adria all’interno dei traffici commerciali sia transmarini con l’alto Adriatico e, soprattutto attraverso Aquileia, con il Norico ed il Magdalensberg, sia quelli fluviali, strettamente interconnessi con il Po e la pianura padana.

 

         In chiusura sono riportate l’Appendice 1, con il catalogo dei punzoni della terra sigillata decorata a matrice in scala 1:1 ed accanto a ciascuno i confronti; Appendice 2 l’apparato fotografico. Dopo la bibliografia completa ed aggiornata, sono riportate una serie di utilissime tabelle che riassumono efficacemente le informazioni sulle classi e sulle forme presenti con indicazione delle concordanze, la cronologie, il numero di esemplari ed l’indicazione della tavola con il disegno specifico dell’esemplare; infine il volume si chiude con le tavole dei disegni dei materiali.

 

         Proprio grazie all’apparato illustrativo il volume si candida a divenire un importante strumento di lavoro per chi studia tale classi fornendo una ricca mole di dati utili per i confronti e la definizione morfologica e stilistica anche di materiale frammentario.

 

         Il lavoro della Mantovani occupa quindi un importante posto tra gli studi sulla cultura materiale e quelli sulle trasformazioni tecniche e stilistiche che interessarono la manifattura e la cultura italica e, più ingenerale mediterranea, tra la tardo età ellenistica e quella romana, che vede nel passaggio dal “nero” al “rosso” la conseguenza più immediata.