Ludwig, Anja : Kameldarstellungen aus Metall im vorislamischen Südarabien. Eine archäologische Fallstudie zu den Kulturkontakten zwischen Arabia felix und der Mittelmeerwelt, 21,0 x 29,7 cm, 144 S., 88 farb. Abb., 25 s/w Abb., ISBN : 9783954901210, 69 €
(Reichert Verlag, Wiesbaden 2015)
 
Compte rendu par Margherita Bolla, Musei Maffeiano e Archeologico di Verona
 
Nombre de mots : 2452 mots
Publié en ligne le 2016-11-22
Citation: Histara les comptes rendus (ISSN 2100-0700).
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         Anja Ludwig propone la pubblicazione della propria tesi di dottorato, discussa presso la Friedrich-Schiller-Universität di Jena, a circa cinque anni dalla sua conclusione e dopo un lavoro di revisione definito dall’Autrice come “lieve”, ma che ha potuto avvalersi del contributo critico di diversi esperti, puntualmente citati nei ringraziamenti.

 

         Oggetto della ricerca è il dromedario, chiamato correntemente – in tedesco, come in italiano e in altre lingue – “cammello”. La base di partenza materiale dell’indagine è lo studio di 67 statuette in bronzo di cammelli del Museo dei Cinque Continenti di Monaco di Baviera, tutte appartenenti alla collezione Daum, formatasi nell’attuale Yemen. L’Autrice rileva l’assenza di precedenti ricerche così strutturate; infatti, mentre negli studi pregressi il ruolo principale era affidato agli aspetti zoologici o storici della domesticazione del cammello, qui vengono esaminati stile, cronologia e significati delle sue rappresentazioni. Obiettivo finale è comunque, come indicato dal sottotitolo del volume, quello di delineare gli scambi e i contatti fra la penisola arabica meridionale e il mondo mediterraneo, consentiti proprio dal sistema carovaniero.

 

         L’area considerata (capitolo 1.1) è dunque la penisola arabica sudoccidentale, corrispondente nella geografia attuale a: Yemen (dove, nei dintorni di Aden, cresceva l’arbusto che produce la mirra), parte dell’Oman (Dofār, la terra dell’incenso), parte dell’Arabia saudita. Dopo l’identificazione geografica viene fornito un sintetico inquadramento delle vicende storiche di questi territori, concentrando l’attenzione sul primo millennio a.C., suddiviso in due grandi periodi.

 

         Per il primo, il periodo delle grandi civiltà carovaniere, l’Autrice delinea rapidamente la storia del regno di Saba, integrandola con le recenti scoperte archeologiche, che hanno messo in luce edifici databili al X sec. a.C., mentre la più antica menzione del regno è in un’iscrizione assira del 715 a.C. Il regno conobbe una notevole fioritura per alcuni secoli, ma nel IV sec. a.C. era in fase di disgregazione, lasciando spazio al regno dei Minei, i cui mercanti nel II sec. a.C. raggiunsero Delos, e alle mire espansionistiche degli stati di Qatabān, Hadramawt e Ausān.

 

         Il secondo periodo, con diversi spostamenti di potere fino all’integrazione nel dominio islamico, prende avvio dagli ultimi decenni del II sec. a.C. e vede il controllo dei Nabatei sulle vie mercantili dell’incenso, che suscitarono nel I sec. a.C. l’interesse dei Romani, fino a una spedizione voluta da Augusto e fermatasi a Mārib. In questo periodo la vasta regione ospita altri “regni”, come quello di Himyar (con capitale Zafar nello Yemen), sorto nel 115 a.C. e che nel III sec. d.C. riuscì ad attrarre nella propria sfera di influenza l’unico altro grande centro di potere rimasto nell’Arabia del sud, quello di Hadramawt.

 

         Sul piano religioso, nel IV secolo d.C. il politeismo lascia il posto all’adorazione del dio Rahmānan, ma anche alla diffusione del cristianesimo. Il regno di Himyar viene conquistato dagli Abissini nel 523 e mezzo secolo dopo cade sotto il dominio dei Sasanidi, fino al 632, quando avviene l’ingresso nel mondo islamico.

 

         Le rappresentazioni di cammelli trattate nel volume interessano il secondo grande periodo storico qui enucleato, quando sono più forti gli scambi con i paesi mediterranei; nella sintesi conclusiva (pag. 114) si nota che i bronzetti esaminati si situano complessivamente fra II sec. a.C. e III sec. d.C.

 

         Nel capitolo 1.2 viene descritta in generale l’evoluzione del cammello e la sua domesticazione. Diversi capitoli, come questo, presentano in calce un breve riassunto, utile a evidenziare i principali concetti espressi.

 

         Vengono poi trattate (capitolo 1.3) le caratteristiche fisiche di questi animali, che rispondono a tutte le necessità dell’ambiente sabbioso e secco in cui vivono, e sono diverse fra dromedari di montagna, più adatti come bestie da soma (che possono percorrere con il carico fino a 50 km al giorno), e di pianura, buone cavalcature, che arrivano a compiere fino a 80 km circa in una giornata. L’Autrice fornisce le informazioni attualmente note sul complesso tema della cronologia della domesticazione, che potrebbe essere iniziata nella zona qui presa in considerazione tra secondo e primo millennio a.C., anche se le prime testimonianze certe nell’Arabia sudorientale si situano nel IX sec. a.C.

 

         Il capitolo 1.4 tratta del commercio dell’incenso, quindi del cammello come bestia da soma, e del collegamento con il Mediterraneo antico. Dapprima viene ricordato l’importante ruolo rivestito dall’incenso nei riti religiosi in Grecia (Erodoto è la prima fonte antica a individuare nell’Arabia meridionale il luogo d’origine della resina), a Roma (a partire almeno dal III sec. a.C.), in Egitto e in Persia. Non è nota la cronologia iniziale del commercio lungo la via dell’incenso e nemmeno se il cammello venne usato fin dall’inizio per il trasporto; potrebbero esser stati impiegati dapprima asini e muli, poi l’utilizzo del cammello consentì di percorrere altre strade, ancora più povere di acqua. Il commercio carovaniero divenne la principale fonte di entrate per gli abitanti dell’Arabia del sud e ben presto si creò lungo le piste seguite dalle carovane un sistema di posti di controllo, in cui venivano imposti dazi di passaggio.

 

         Il commercio iniziò probabilmente già nel III millennio a.C., e in quello seguente i preziosi aromi dell’Arabia meridionale raggiunsero Mesopotamia e Siria; le prime menzioni della via carovaniera parallela alla costa occidentale della penisola araba sono di Eratostene e Plinio, mentre la via che attraversava la penisola verso est e da Gerrha raggiungeva Babilonia è attestata dall’VIII sec. a.C. (secondo l’Autrice già con l’uso di cammelli).

 

         Un notevole ruolo di mediazione venne svolto dai Nabatei, la cui capitale Petra fu un centro importante del commercio carovaniero; iscrizioni pertinenti a questo popolo sono state ritrovate in Campania e a Roma, oltre che nella zona sudarabica. L’area nabatea entrò nel 106 d.C. a far parte della provincia Arabia. Secondo le informazioni fornite dall’Autrice, sul mercato romano l’incenso costava da 3 a 6 denari alla libbra e – sulla base del calcolo del numero di carovane e della possibile quantità di cammelli impiegati – si è ipotizzata una spesa annua da parte dei Romani di 12 milioni di denari per questa merce; ciò spiega il tentativo di conquista dell’Arabia meridionale in età augustea. Poi il prezzo dell’incenso aumentò fino a raggiungere in età dioclezianea i 100 denari alla libbra, finché, con la diffusione del cristianesimo e il divieto dei riti che prevedevano l’offerta di incenso agli dei, il commercio subì un arresto.

 

         L’incenso era usato nei riti e nella vita quotidiana anche nelle zone d’origine, anche se non sono molte le iscrizioni in loco connesse al suo commercio. Dalla zona di Dofār l’incenso viaggiava  per via marittima verso la Mesopotamia, dove veniva scambiato con lo stagno, fondamentale per la produzione del bronzo e inesistente nell’Arabia del sud, e verso le Indie, da cui venivano importate pietre preziose e altre merci di pregio.

 

         Una digressione (capitolo 1.5) è dedicata al cammello come cavalcatura, usata anche in battaglia; anche i Romani utilizzarono questi animali, come bestie da soma, cavalcature, per il servizio postale e nei giochi anfiteatrali. Alla bibliografia citata si può aggiungere un articolo in lingua italiana, che accenna alla domesticazione, ma tratta soprattutto la diffusione dei cammelli in Egitto, Europa e Italia: J. De Grossi Mazzorin, Presenze di cammelli nell’Antichità in Italia e in Europa: aggiornamenti, in Vie degli animali, vie degli uomini. Transumanza e altri spostamenti di animali nell’Europa tardoantica e medievale, Atti del Secondo Seminario internazionale di studi (Foggia, 2006), a cura di G. Volpe, A. Buglione, G. De Venuto, Santo Spirito (BA) 2010, pp. 91-106.

 

         Il capitolo 2 esamina le menzioni di cammelli nelle fonti antiche dell’Arabia meridionale; si tratta di iscrizioni su pietra in genere legate a contesti pubblici, e di iscrizioni su legno presenti in contesti privati; una articolata tabella raccoglie le epigrafi rimaste, con indicazioni interpretative e successivamente alcune osservazioni linguistiche sul lessico usato. Un paragrafo tratta in modo specifico delle iscrizioni votive, per la maggior parte riferibili al dono a divinità diverse presumibilmente di raffigurazioni di cammello, poiché si trovano su basi che potevano reggere appunto delle statuette.

 

         Il capitolo 3 è dedicato ai bronzetti di cammelli, il cuore del volume. L’Autrice premette correttamente che si tratta di oggetti privi di dati sul contesto specifico di ritrovamento (e talvolta del luogo di provenienza), difficilmente databili su basi paleografiche (quando iscritti) e con pochi confronti altrove; l’individuazione della cronologia di queste testimonianze è quindi ardua. Nonostante tali difficoltà, l’Autrice propone una suddivisione tipologica, fornendone dapprima i criteri: poiché la distinzione morfologica viene basata sul contorno delle figure dell’animale, viene considerata ininfluente la presenza o meno di un cavaliere; l’intento è quello di costruire una seriazione, sulla base di una possibile analogia con lo sviluppo cronologico delle statuette di animali (in particolare cavalli e tori) prodotte in bronzo in area greca. Tale assunto è espresso come ipotesi di lavoro, nella consapevolezza che solo nuovi ritrovamenti da contesti certi e databili potranno fornire appigli sicuri per la datazione; per la seriazione sono utilizzati, come concetti stilistici (e non cronologici) i termini di geometrizzante, arcaizzante e classicheggiante, ponendo appunto le statuette di cammelli in relazione con le raffigurazioni animalistiche greche dei periodi citati.

 

         Si tratta di un’indagine condotta con acribìa e non sempre agevolmente condivisibile da parte del lettore, per le oggettive difficoltà che si incontrano nella definizione stilistica di queste figure, di piccole dimensioni (da 2,5 a 10,5 cm di lunghezza; eccezionale la statuetta n. 92, lunga cm 16,5, della quale è fornito il contorno ma non la fotografia).

 

         Nelle schede, le voci compilate sono: numero progressivo, soggetto, oggetto, luogo di ritrovamento, materia prima, tecnica, misure, luogo di conservazione, bibliografia specifica, stato di conservazione; seguono la descrizione e la trascrizione dell’iscrizione se presente. Le schede presentano talvolta qualche disomogeneità, ad esempio nella successione delle voci nelle misure (che non sono sempre proposte con lo stesso significato, cfr. ad esempio il n. 54 rispetto alle schede precedenti e successive). Manca all’inizio del catalogo o in posizione facilmente rintracciabile lo scioglimento delle abbreviazioni usate nelle schede. Non sono precisati i casi di esame autoptico, che si presume effettuato per tutti i bronzetti del Museo dei Cinque Continenti di Monaco.

 

         Vengono catalogati 110 oggetti, dei quali 106 statuine di cammelli, una tavola con una raffigurazione dell’animale, due recipienti e un sostegno (cavo, configurato a zampa); sono inoltre menzionati, al di fuori della numerazione, altri quattro oggetti (di cui tre sono statuine).

 

         Quando possibile le schede sono corredate di una fotografia a colori di profilo o più raramente di tre quarti (ne sono privi i numeri 2, 12-13, 16, 19, 32-33, 55, 57-58, 65, 92, 95, 99, 106-109 e gli ultimi quattro oggetti non numerati) e di un disegno del contorno che volutamente elide l’eventuale figura del cavaliere. Sarebbe forse stata utile a conclusione del catalogo una tabella riassuntiva con i dati principali, quali la provenienza e il luogo di conservazione. Per le statuine del Museo dei Cinque Continenti di Monaco di Baviera pare sottintesa nelle singole schede l’appartenenza alla collezione Daum, indicativa almeno di un’ampia area di provenienza. Una cronologia specifica è proposta solo nei casi in cui qualche elemento (come un’iscrizione) lo consenta o quando sia avanzata in precedenti pubblicazioni (come viene sempre giustamente precisato); un esemplare (n. 60; cfr. p. 89), in cui il nucleo di argilla è raggiungibile, è stato sottoposto a termoluminescenza.

 

         I gruppi tipologici individuati sono: 1, “geometrizzante”, con due varianti; 2, “arcaizzante”; 3, “classicheggiante”, con dieci varianti. Per la classificazione non sono considerate dirimenti la figura del cavaliere (come già accennato), la presenza di dettagli quali il collare, la funzione (alcune statuine sono forate o presentano anelli per la sospensione). Il materiale è quasi sempre il bronzo (eccezioni sono i nn. 12, 57, 106, in piombo, e forse i nn. 13 e 95) e la tecnica prevalente la colata piena.

 

         Riguardo alle statuette conservate altrove rispetto al Museo dei Cinque Continenti di Monaco, l’inclusione in catalogo è determinata dal ritrovamento nella grande area sudarabica oggetto dello studio, ma in qualche caso sono compresi oggetti senza provenienza, come i nn. 20, 41, 49, 84, 103 dal mercato antiquario, o alcune statuette conservate in grandi musei (nn. 38 e 42, Louvre; n. 55, Hamburg, Museum für Völkerkunde; nn. 59, 85, 89, British Museum, per i quali comunque nella scheda museale on line si propone una provenienza dallo Yemen, inoltre i nn. 68, 91; nn. 61, 90, 94, 97, 105, Kunsthistorisches Museum di Vienna) o collezioni (Borowski a Gerusalemme).

 

         Seguono il catalogo interessanti capitoli basati sull’osservazione dei bronzetti: considerazioni sullo stato di conservazione (e sulle patine) e sui procedimenti di fabbricazione (cap. 3.2), sul cammello nell’ambito del culto (cap. 3.2.3) e come cavalcatura (cap. 3.2.4), sulle sepolture di questi animali viste come possibili offerte nei confronti del defunto (cap. 3.2.5).

 

         Altri capitoli sono consacrati all’origine delle materie prime, quindi alla presenza di miniere nella penisola arabica o alla derivazione allogena di metalli (cap. 3.3), e alla cronologia (ca. 3.4), in cui si ribadiscono le difficoltà di approccio e il carattere di ipotesi di lavoro delle datazioni, per supportare le quali vengono esaminate anche altre rappresentazioni di cammelli dal Vicino Oriente e dalla penisola arabica (cap. 3.4.1), come le incisioni rupestri, le raffigurazioni dipinte, i rilievi su pietra, le terracotte.

 

         Vengono infine menzionate (pag. 104) le raffigurazioni antiche in bronzo non provenienti direttamente dalla penisola sudarabica; alle tre statuine ivi citate si possono aggiungere, senza pretese di esaustività: il cammello a tutto tondo di età romana imperiale, probabile arredo da mensa per la presenza di una doppia cesta sul dorso, edito in De’ Bronzi di Ercolano e contorni incisi con qualche spiegazione, tomo I (Delle Antichità di Ercolano, tomo V), Napoli 1767, p. 273, disegno alla p. 4; la testa da Saint-Julien (Haute-Savoie), edita da W. Déonna, Catalogue des bronzes figurés antiques du Musée d’Art et d’Histoire de Genève, in “Anzeiger für schweizerische Altertumskunde”, 17, 1915, 4, p. 299 n. 106; un cammello accosciato dalla Siria, edito da S. Reinach, Répertoire de la statuaire grecque et romaine, II, 2, Paris 1909, p. 765 n. 3; i due bronzetti illustrati in S. Reinach, Répertoire de la statuaire grecque et romaine, IV, Paris 1913, p. 527 nn. 1 e 3.

 

         Sono poi riesaminati come supporti per la cronologia le iscrizioni e gli elementi etnografici, come la forma della sella, e infine i contatti culturali attestati dalla comparsa di cammelli nei mondi greco e romano (per il quale vengono trattati in particolare l’arco di Galerio a Salonicco e le raffigurazioni musive). Il testo si conclude con un riassunto generale (cap. 4) e due appendici dedicate rispettivamente alle iscrizioni votive e alle stele sudarabiche con raffigurazioni di cammelli.

 

         L’impostazione grafica del volume è chiara ed elegante, pur nel rigore scientifico determinato dall’approccio catalogico. Si tratta in conclusione di un lavoro di notevole interesse, perché addita le potenzialità dello studio di piccole rappresentazioni in metallo per la ricostruzione di fenomeni culturali antichi, quali gli scambi fra il mondo mediterraneo e altre civiltà, per la ricchezza di riferimenti ad altri campi d’indagine, per l’attenzione data alla storia di un animale considerato “esotico” nel mondo classico e poco conosciuto anche nell’ambito europeo attuale.