Dignas, Beate - Smith, R. R. R. (ed.), : Historical and Religious Memory in the Ancient World. Pp. xix, 338. ISBN 9780199572069. ISBN 978-0-19-957206-9, $135.00
(Oxford University Press, Oxford - New-York 2012)
 
Compte rendu par Giulia Isetti
 
Nombre de mots : 2573 mots
Publié en ligne le 2013-06-27
Citation: Histara les comptes rendus (ISSN 2100-0700).
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          Il volume trae origine da una serie di interventi tenutisi presso il Ioannou Centre of Classical and Byzantine Studies a Oxford il 22 settembre 2008 in una giornata in onore del pensionamento di Simon Price (1954-2011). L’opera si apre con una breve Prefazione (VII-VIII) degli editori a cui seguono un ricordo e un elenco delle pubblicazioni dello studioso recentemente scomparso (pp. IX-XV) e, infine, la lista dei contributori (pp. XVII-XIX).

 

          L’Introduzione degli editori (pp. 1-11) si propone di fornire una panoramica degli studi contenuti nel volume e di illustrarne brevemente i nuclei tematici, che si dipanano nelle tre sezioni che compongono l’opera. Ognuna di esse è dedicata ad uno dei punti cruciali individuati da Price nello studio della formazione della memoria: in particolare la prima parte è dedicata allo studio dei diversi ruoli della memoria nell’espressione di se stessa, la seconda si focalizza invece sulla formazione/creazione della memoria presso diverse identità religiose ed etniche; la terza e ultima parte è invece dedicata allo studio di ciò che viene dimenticato e le motivazioni sociali che si nascondono dietro a questo processo.

 

          La prima sezione, "Religious Pasts and Religious Present" (p. 13-115) si apre con lo studio di Price, Memory and Ancient Greece (pp. 15-36), già edito in precedenza (1), che costituisce il punto di partenza e di ispirazione per gli altri contributi. Price in questo saggio, applicando un approccio storico allo studio della formazione della memoria, mette in evidenza il fatto che essa veniva a formarsi nell’ambito di quattro contesti cruciali per la costruzione di collegamenti col passato: in primo luogo oggetti e rappresentazioni, quindi luoghi, comportamenti rituali e, infine, testi narrativi. A fianco del processo di costruzione della memoria l’Autore pone l’accento sulla necessità di non trascurare quello della sua distruzione, ovvero ciò che viene dimenticato, che va indagato nei suoi contesti e nelle sue dinamiche.

 

          Nel secondo contributo della sezione, Sappho Underground (pp. 37-67), J. A. North si sofferma sull’iconografia di alcune decorazioni in stucco che adornano la navata della Basilica sotterranea di Porta Maggiore a Roma, risalente al I sec. d.C. In particolare lo studioso si focalizza su tre scene: quella del rapimento delle Leucippidi da parte dei Dioscuri, quello di Ganimede da parte di Attis o Acquario/Deucalione e infine il suicidio di Saffo, individuando il filo conduttore di queste tre rappresentazioni nel tema della transizione tra due poli. Dall’analisi dell’inusuale iconografia si evince che nel I secolo un gruppo di persone colte e influenti aveva sviluppato credenze che, anche se devianti dalla norma religiosa, erano pur sempre intrise dal portato mitico e letterario pagano contemporaneo.

 

          M. Goodman, in Memory and Its Uses in Judaism and Christianity in the Early Roman Empire: the Portrayal of Abraham (pp. 69-82), individua nelle culture ebraica e cristiana la comune credenza che il loro passato remoto aveva un’autorità divina e che quindi non poteva e non doveva essere modificato. Tuttavia entrambe le religioni presentano nel passaggio tra l’età ellenistica e l’età imperiale numerosi cambiamenti nelle pratiche cultuali, nelle credenze e tradizioni: tale paradosso può essere spiegato considerando che entrambe le religioni scelsero di ricordare il passato in modo opportunamente selettivo, il che faceva sì che tali cambiamenti non venissero percepiti come tali, ma addirittura come fedele continuazione del passato tradizionale. In particolare lo studioso si sofferma sulla pratica cristiana di adottare e adattare tradizioni precedenti, soprattutto del passato ebraico, per rispondere alle esigenze del momento, offrendo, tramite il caso paradigmatico della rappresentazione di Abramo nelle Antichità Giudaiche di Flavio Giuseppe e nella sua rielaborazione nelle Lettera ai Galati di San Paolo, un esempio di questo modo di procedere. La nebulosità della caratterizzazione della figura di Abramo nella tradizione ebraica permise infatti a quella cristiana di far proprio il personaggio, il che consentì alla giovane religione di acquisire il conforto e l’autorità di un passato più lontano.

 

          Conclude la prima sezione del volume il contributo di W. Van Andringa: Statues in the Temples of Pompeii: Combinations of Gods, Local Definition of Cults, and the Memory of the City (pp. 83-115). L’Autore ripercorre cronologicamente, a partire dalle prime scoperte nel XVIII secolo, i rinvenimenti statuari emersi dagli scavi di Pompei, corredando la descrizione dei reperti con numerose immagini. Nonostante la mancanza di documentazione per quello che riguarda la loro posizione esatta, lo studioso propone delle ipotesi di identificazione della collocazione originale di alcune statue, mantenendo sempre presente la distinzione tra quelle di culto e quelle ornamentali e la combinazione tra di esse. La posizione infatti di statue di altre divinità rispetto a quella principale, collocata al centro della cella, è fondamentale per comprendere l’organizzazione dei culti all’interno delle singole comunità cittadine e per delineare la personalità di ogni divinità, tutti elementi che concorrono nella formazione delle identità cultuali locali e della memoria stessa della città.

 

          La seconda sezione dell’opera, dedicata al tema “Defining Religious Identity”, viene inaugurata dallo studio di B. Dignas, la quale, in Rituals and the Construction of Identity in Attalid Pergamon (119-143), si propone di indagare la genesi del pantheon pergameno allo scopo di mitigare un recente indirizzo di studi, secondo cui il suo passato mitico sarebbe una creazione della dinastia Attalide, forgiato ad hoc dal nulla allo scopo di rivaleggiare col passato mitico dei propri rivali. L’Autrice, attraverso un’analisi delle fonti, propone di retrodatare una serie di elementi mitici e cultuali della tradizione pergamena, in particolare l’episodio di Telefo, dall’età ellenistica a quella classica. La studiosa dimostra quindi in modo convincente che se anche l’intervento attalide nella costituzione di alcuni elementi portanti della mitologia pergamena è innegabile, tuttavia esso non avvenne a partire da una tabula rasa, anzi: esso doveva sicuramente venire a integrarsi e a fondersi con un portato grecizzante risalente già al V-IV sec. a. C.

 

          R. Gordon, in Memory and Authority in the Magical Papyri (pp. 145-180), dopo alcune considerazioni generali sui papiri magici, nota al loro interno un mutamento nel passaggio dall’età ellenistica a quella romana, individuandone la causa primaria nel cambiamento del “pubblico” stesso, ora ellenizzato, che aveva esigenze nuove. Lo studioso isola quindi tre diversi aspetti della memoria culturale che potevano essere utilizzati all’interno dei papiri magici allo scopo di reclamare autorità: il primo espediente è l’evocazione del tempio (e. g. affermando che il testo era stato scritto da un personaggio influente legato all’istituzione o che era stato rinvenuto al suo interno), il secondo è l’uso di charakteres, di voces magicae e la prescrizione di utilizzare immagini durante i riti; il terzo, infine, è il cosiddetto processo di traduzione “inversa”: ovvero la trasposizione in demotico di testi composti originariamente in greco.

 

          Nel suo breve contributo, Epigraphy and Ritual: the Vow of a Legionary from Sulmo (pp. 181-185), J. Scheid si incentra su un graffito votivo risalente al I sec. a. C  - I d. C. rinvenuto nel santuario di Ercole Curino presso Sulmona. Lo studioso, sottolineando l’importanza di un inquadramento storico dell’iscrizione per una sua più precisa ricostruzione, riconosce il testo proposto dalla Guarducci come più rispondente alla norma di un voto cristiano piuttosto che di uno pagano, di cui tale graffito sarebbe invece un importante esemplare. Sulla base di queste considerazioni l’Autore propone quindi una diversa ricostruzione del testo che rispecchi più precisamente le pratiche religiose dell’epoca.

 

          L. Nixon, in Builiding Memory: the Role of Sacred Structures in Sphakia and Crete (pp. 187-214), si propone di dimostrare, a partire dai ritrovamenti archeologici a Sfakia (esempio che l’Autrice dimostra essere paradigmatico per l’intera isola di Creta), l’esistenza di una relazione diretta tra il numero di edifici sacri permanenti e il loro “raggio di memoria”. La documentazione archeologica di Sfakia si dipana per tre epoche distinte: l’età ellenistico-imperiale, tardo-antica e bizantina, nel corso delle quali è percepibile un sensibile aumento del numero di monumenti, inversamente proporzionale, dunque, alla loro notorietà nelle zone limitrofe. Tale analisi consente inoltre all’Autrice di estrapolare alcuni suggerimenti metodologici da applicare agli studi mirati sulle relazioni tra le strutture sacre permanenti e il processo di consolidamento della memoria.

 

          La terza parte del volume, "Commemorating and Erasing the Past", è dedicata alla controparte del processo di costruzione della memoria, ovvero l’oblio. La sezione si apre col contributo di D. S. Levene, "You shall blot out the memory of Amalek": Roman Historians on Remembering to Forget (pp. 217-239). Lo studioso conduce, a partire da un passo del Deuteronomio (25: 17-19), da cui prende nome il contributo, una riflessione sulla contraddizione insita nel ricordare un episodio o un personaggio del passato su cui è stata posta una deliberata censura. Lo studioso si sofferma in particolare su come si ponevano nei confronti di tale questione gli storiografi latini, nel caso specifico Livio e Tacito, in cui il paradosso risulta ancora più ironico, dal momento che lo scopo primario della storia dovrebbe essere quello di tramandare la memoria del passato ai posteri. Gli storici avevano a disposizione tre possibili espedienti per risolvere questo paradosso: essi potevano ricordare l’evento o il personaggio senza accennare al fatto che esso fosse stato censurato, oppure enfatizzare il fallimento della sanzione menzionandola apertamente o, infine, accettare il successo della soppressione della memoria. L’ultimo spunto di riflessione proposto nel contributo è sulle possibili implicazioni della censura in Livio: le sanzioni ricordate dallo storico furono in certi casi effettive solo a breve termine, per fallire poi a lungo, mettendo in luce problemi istituzionali e politici, soprattutto nell’ambito delle relazioni con le colonie italiche che la censura cercava di celare, che ebbero però riflessi non solo sulla situazione contingente, ma anche su un piano diacronicamente più ampio.

 

          A. Busine, in The Discovery of Inscriptions and the Legitimation of New Cults (pp. 241-256), analizza il modo in cui le iscrizioni concernenti prescrizioni oracolari potevano essere utilizzate in un diverso contesto allo scopo di legittimare un nuovo culto religioso. Spesso infatti nelle fonti letterarie, sia pagane che cristiane, si accena al ritrovamento di presunte iscrizioni oracolari che giustificano la riesumazione di antiche pratiche religiose o l’introduzione di un nuovo culto. La recente scoperta nel 2002 di un’epigrafe a Ikaria che promuoveva il culto di Maria Vergine (Theotokos), porta l’Autrice a concludere che oltre alla tradizione letteraria di tali iscrizione esistesse anche una loro produzione materiale. In particolare i cristiani, a partire dalla seconda metà del V secolo, avrebbero preso a incidere epigrafi oracolari, poi opportunamente riportate alla luce, allo scopo di legittimare il loro culto grazie alla benedizione da parte di divinità pagane. L’apparente contraddizione di questo modo di procedere si risolve con la considerazione che la comunità cristiana doveva essere perfettamente conscia del sospetto che avrebbe suscitato agli occhi dei pagani una religione completamenta avulsa dal passato e avrebbe così cercato di immaginare un ideale filo conduttore e legittimante tra il vecchio e il nuovo culto.

 

          L’attento studio storico condotto in Abercius of Hierapolis: Christianization and Social Memory in Late Antique Asia Minor (pp. 257-282), permette a P. Thonemann di trarre alcune importanti conclusioni sulla Vita di Abercio, riuscendo non solo a datare il testo, ma anche a isolare le fonti e le motivazioni che si celavano dietro alla sua composizione. In particolare l’Autore individua alla base di questa Vita di IV secolo tracce dell’epitaffio di Abercio, conservato presso la porta meridionale della città di Ierapoli, il testo degli Atti di Pietro, un’epistola di Marco Aurelio del 177 o 178 iscritta su pietra, un’iscrizione dedicatoria di Faustina presso le terme di Agros Thermon e un’iscrizione, perduta, che doveva tramandare i nomi di Publio Dolabella e Lentulo Spinther. Dalla Vita risulta chiaro il tentativo da parte della comunità cristiana di Ieropoli di rimodellare su Abercio, l’unico personaggio prestigioso che la città potesse vantare, il proprio passato, pagano e oscuro, attraverso la rilettura e reinterpretazione di monumenti e iscrizioni di II secolo.

 

          Anche il contributo seguente, posto a conclusione del volume, Defacing the Gods at Aphrodisias (pp. 283-326), di R. R. R. Smith, affronta il tema di come una comunità cristiana d’Asia poteva relazionarsi rispetto al suo passato pagano. L’Autore in particolare indaga l’aspetto archeologico della questione, soffermandosi sui danneggiamenti inflitti a nove degli ottanta fregi che decoravano il complesso del Sebasteion ad Afrodisia, allo scopo di datare il fenomeno e la metodologia adottata nella sua applicazione. L’analisi delle immagini, di cui propongono anche numerose foto, dimostra che la deturpazione era mirata e condotta con attenzione, appuntandosi solo su soggetti che potevano essere percepiti come offensivi o minacciosi agli occhi dei cristiani, ad esempio la raffigurazione di organi genitali, di scene di sacrifici o di divinità la cui iconografia sembrava richiamare quella di daimones “petitionable”; sembrano invece sfuggire al danneggiamento immagini di personaggi imperiali (o equivocati per tali), o che potevano essere reintepretate in ottica cristiana. In conclusione del contributo infine l’Autore confronta il diverso trattamento subito dal Sebasteion rispetto al Partenone e propone di datarne la deturpazione tra la fine del V e l’inizio del VI secolo. Chiude il volume l’indice (pp. 327-338).

 

          Il volume riesce sicuramente a mantenere il proposito che gli editori si erano proposti nella Prefazione, ovvero celebrare il lavoro di Price e allo stesso tempo dimostrare come il suo insegnamento possa essere applicabile allo studio della memoria storica e religiosa nei più diversi contesti, materiali o scritti, artistici o letterari, pagani o cristiani. In tutti questi ambiti è quindi possibile condurre delle indagini di più ampio respiro, che non si limitino solamente a studiare cosa ci è stato tramandato, ma anche perchè e come è stato selezionato, se è stato manipolato e infine, cosa altrettanto importante, cosa è stato, in modo conscio o inconscio, dimenticato.

 

          Sebbene, come spesso accade in simili collezioni di saggi, alcuni studi appaiano inseriti un po’ forzatamente nell’ambito della raccolta, essa si presenta ad ogni modo come uno strumento utile che soddisfa le esigenze di un variegato pubblico di lettori, allo stesso tempo fornedendo una dimostrazione pratica dell’applicazione dei principi metodologici d’indagine di Price ai campi più diversi.

 

(1) S. Price, Memory and Ancient Greece, in A. Holm Rasmussen e S. William Rasmussen (eds.), Religion and Society. Rituals, Resources and Identity in the Ancient Graeco-Roman World. The BOMOS-Conferences 2002-2005, Roma: Quasar, 2008 (Analecta Romana Instituti Danici, Supplementum 40).

 

 

Indice:

 

B. Dignas - R. R. R. Smith, Introduction (pp. 1-11)

PART I: Religious Pasts and Religious Present

S. Price, Memory and Ancient Greece (pp. 15-36)

J. A. North, Sappho Underground (pp. 37-67)

M. Goodman, Memory and Its Uses in Judaism and Christianity in the Early Roman Empire: the Portrayal of Abraham (69-82)

W. Van Andringa, Statues in the Temples of Pompeii: Combinations of Gods, Local Definition of Cults, and the Memory of the City (pp. 83-115)

PART II: Defining Religious Identity

B. Dignas, Rituals and the Construction of Identity in Attalid Pergamon (pp. 119-143)

R. Gordon, Memory and Authority in the Magical Papyri (pp. 145-180)

J. Scheid, Epigraphy and Ritual: the Vow of a Legionary from Sulmo (pp. 181-185)

L. Nixon, Builiding Memory: the Role of Sacred Structures in Sphakia and Crete (pp. 187-214)

PART III: Commemorating and Erasing the Past

D. S. Levene, "You shall blot out the memory of Amalek": Roman Historians on Remembering to Forget (pp. 217-239)

A. Busine, The Discovery of Inscriptions and the Legitimation of New Cults (pp. 241-256)

P. Thonemann, Abercius of Hierapolis: Christianization and Social Memory in Late Antique Asia Minor (pp. 257-282)

R. R. R. Smith, Defacing the Gods at Aphrodisias (pp. 283-326)

Index (pp. 327-338)